Ai ragazzi serve la verità, non il paternalismo
Il paternalismo ai ragazzi che protestano non serve. Perché mandare sempre tutto in vacca, riducendo confronti rilevanti in scontri sterili?
| Politica
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Il paternalismo ai ragazzi che protestano non serve. Perché mandare sempre tutto in vacca, riducendo confronti rilevanti in scontri sterili?
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Il paternalismo ai ragazzi che protestano non serve. Perché mandare sempre tutto in vacca, riducendo confronti rilevanti in scontri sterili?
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Il paternalismo ai ragazzi che protestano non serve. Perché mandare sempre tutto in vacca, riducendo confronti rilevanti in scontri sterili?
Era scontato ed è puntualmente accaduto: la “protesta delle tende“ ha solleticato gli appetiti polemici di molti, relegando la sostanza in un cantuccio a vantaggio di scontri e parole inutili.
È il caso della bufera scatenata dalle dichiarazioni del sindaco di Venezia Brugnaro, secondo il quale lo studente che dovesse pagare 700 euro per un affitto non è degno di essere considerato futura classe dirigente.
Un’esagerazione, una palese provocazione, oltre che un ragionamento sostanzialmente privo di senso. Lo scrive chi si è preso la propria quota di critiche per aver ricordato come un bergamasco che studi a Milano o un casertano a Napoli non possano essere considerati dei “fuorisede”. Per banale logica e senso della realtà (e del ridicolo). Altro, però, è il paternalismo che alimenta il senso di incomprensione di tanti dei nostri ragazzi. Provate a dir loro che hanno torto a sentirsi sottovalutati e trattati con sufficienza, davanti a dichiarazioni come quelle del primo cittadino di Venezia.
Quest’ultimo, peraltro, ha rincarato la dose sostenendo che vivere in centro non sia un diritto. Scoperta dirompente: qualcuno ha mai pensato che compito dell’università sia organizzare studentati in piazza della Scala o via del Babuino? Perché dobbiamo mandare sempre tutto in vacca, riducendo confronti così rilevanti in scontri sterili?
Abbiamo ripetuto fino a venirci a noia l’esigenza di dire innanzitutto le verità scomode ai ragazzi. A cominciare dall’idea stessa di gavetta e sacrificio, impegno e dedizione, che però nulla hanno a che vedere con uno scotto da pagare per essere considerati degni dell’età adulta (magari da gente mai realmente cresciuta). Parliamo lavoro degli strumenti che aiutano riempire la vita di una delle sensazioni più belle e appaganti: sentirsi al posto giusto e parte di qualcosa, impazienti di scoprire cosa ci sia di nuovo giorno dopo giorno. Sembrano frasi fatte, immagini stereotipate, ma è la semplice esperienza quotidiana di chiunque abbia avuto l’abilità, la perseveranza e anche quel po’ di fortuna necessarie a fare ciò che si ama e a cui ci si sente destinati.
Che tutto questo si riduca a qualche battuta acida, alla sintesi dei “ai miei tempi“ e – dall’altra parte – a chi vuole tutto e subito senza faticare è sconfortante. Molto prima che irrealistico.
di Fulvio Giuliani
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