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PD

PD, quale partito oggi?

Il problema è che il Pd non sembra più capace di immaginarsi in una posizione diversa da una negazione dello spirito costitutivo del partito
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Il problema è che il Pd non sembra più capace di immaginarsi in una posizione diversa da una negazione dello spirito costitutivo del partito
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Il problema è che il Pd non sembra più capace di immaginarsi in una posizione diversa da una negazione dello spirito costitutivo del partito
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Il problema è che il Pd non sembra più capace di immaginarsi in una posizione diversa da una negazione dello spirito costitutivo del partito

Non c’è nulla di ufficiale, la segretaria del Partito democratico Elly Schlein si è limitata a manifestare un generico interesse per le (eventuali) iniziative referendarie della Cgil contro il Jobs Act. Tanto è bastato, però, a scatenare un bel po’ di ipotesi sulla mai nascosta volontà dei Dem – almeno di una loro parte – di affossare quella che può essere paradossalmente considerata la più grande riforma firmata dal partito. Senza dubbio in materia di lavoro e più in generale di impatto sociale. La Cgil ha già provato l’assalto al Jobs Act per via referendaria, stoppata soltanto all’ultimo gradino dalla Corte costituzionale e nonostante il parere favorevole alla richiesta di abrogazione della relatrice Silvana Sciarra, che oggi presiede la Consulta stessa. Il più grande sindacato italiano potrebbe riprovarci, a rigor di logica politica, anche se al momento la posizione del segretario Landini appare più di minaccia che di reale possibilità operativa.

Cgil a parte, il problema è che il Pd a guida Schlein non sembra più neppure capace di immaginarsi in una posizione diversa da una vera e propria negazione alla radice dello spirito costitutivo del partito. Tutto spesso soltanto per dar sfogo a una dialettica stanca e ripetitiva. Il Pd disegnato dal fondatore Walter Veltroni e da almeno buona parte dei segretari susseguitisi nel tempo si era immaginato (qualcuno potrebbe malignamente correggere “vagheggiato”) a vocazione maggioritaria. Il che, a meno di non credere agli asini volanti, significa puntare a trovare spazio e realizzazione al centro, non certo nel confuso movimentismo firmato Schlein. Null’altro si è intravisto, invece, da quando la segretaria si è sorprendentemente affermata nelle primarie. Senza mai dimenticare che quelle di partito le aveva abbondantemente perse, per poi prevalere nelle urne aperte a tutti. Tralasciamo pure il fin troppo facile gioco dialettico del segretario di allora Matteo Renzi, invitato a nozze nell’immaginare l’assoluto imbarazzo dei suoi ex compagni di partito davanti a una ipotesi referendaria contro la loro stessa riforma. La vera partita è provare a capire quale sia il Partito democratico realisticamente ipotizzabile oggi.

L’insofferenza nei confronti della leadership comincia a sentirsi e non potrebbe essere altrimenti, in un apparato che si era preparato alla segreteria Bonaccini, magari senza particolari entusiasmi, ma in un solco ben più prevedibile e rassicurante, rispetto alla politica dei grandissimi princìpi e della grande debolezza tattica e strategica mostrata sino a oggi da Elly Schlein. In pochi sono pronti a uscire allo scoperto, al di là dello stesso presidente dell’Emilia-Romagna che ha scelto di vivere un’estate alquanto sovraesposta proprio per far capire a tutti di non essere disposto a fare buon viso a cattivo gioco troppo a lungo. Dietro di lui non si è mosso ancora nessuno, ma è evidente che le truppe stiano semplicemente aspettando le elezioni europee del 2024.

Ecco perché, come abbiamo scritto ripetutamente anche negli ultimi giorni, il governo Meloni non ha nulla di cui preoccuparsi. Almeno al di fuori del proprio perimetro, con le opposizioni impegnate più che altro a capire chi siano, invece di concentrarsi su una proposta politica alternativa. Più semplice affidarsi ai richiami apocalittici: il fascismo, la libertà, il generico riferimento ai diritti. Dovesse capitare e perché no, magari anche a un referendum contro sé stessi.

di Fulvio Giuliani 

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