Pensioni, duello a distanza Roma-Parigi
Pensioni, duello a distanza Roma-Parigi
Pensioni, duello a distanza Roma-Parigi
«Tra i francesi che s’incazzano e i giornali che svolazzano» (copyright Paolo Conte), chi vincerà il nuovo duello Italia-Francia sulle pensioni? Macron – con un sistema in attivo – è andato alle elezioni promettendo di riformarlo in modo più “restrittivo” disboscando la miriade di fondi autonomi. E le urne gli hanno dato ragione. È il tallone di Achille che Parigi non è mai riuscito a superare. Questi fondi speciali si annidano nelle categorie dei servizi pubblici e privati indispensabili (come i trasporti e l’energia) e nel pubblico impiego. Settori dove i sindacati sono arrivati a bloccare le attività per impedire le riforme. Sono proprio i sindacati, che non contano più nulla, ad arroccarsi nei comparti dove hanno ancora un potere contrattuale che deriva loro dai servizi erogati e dalle ricadute degli scioperi, magari un po’ selvaggi. Resistenze che si annidano in 42 casse e regimi obbligatori. Per questo i sindacati e le sinistre sono in agitazione dopo l’annuncio delle misure – graduali – volute da Macron.
E qui i sindacati italiani fanno un figurone, non solo nei confronti di quelli francesi ma anche di altri Paesi europei che stentano a uniformare le regole. All’inizio della stagione delle riforme in Italia c’erano 55 diversi regimi distinti. Nel pubblico impiego, soprattutto, esistevano situazioni di privilegio (si pensi alle baby pensioni). Dal periodo corporativo il sistema aveva ereditato una pletora di enti parastatali, tanti rigogliosi cespugli cresciuti attorno all’Ago (Assicurazione generale obbligatoria). Le riforme hanno realizzato dapprima un processo di armonizzazione e poi di uniformità delle regole, fino a raccogliere tutte le prestazioni previdenziali in un unico ente – l’Inps – che è divenuto l’istituto previdenziale più grande d’Europa (e forse del mondo).
L’altro “mal francese” riguarda l’età pensionabile. Fu Mitterrand, quando vinse le elezioni, a portare da 65 a 60 anni l’età di pensionamento. Da allora tutti si sono attaccati a questa regola come se fosse stata consegnata a Mosè sul Monte Sinai. Tanto che negli anni i governi sono riusciti ad aumentare fino a 43 anni il requisito contributivo che dà diritto alla pensione piena. Sull’età si è invece registrato finora un nulla di fatto. In Italia ha invece vinto le elezioni chi promette il “superamento” della legge Fornero, con tutte le conseguenze sul versante dei conti, già in profondo rosso. Sono però pochi a rendersene conto, lasciando che le pensioni diventino una “variabile indipendente”.
Oggi, con i cugini francesi, siamo in presenza dell’ennesimo derby non calcistico. Su alcuni versanti ci troviamo però in vantaggio. Ma in tutta Europa circola più o meno il medesimo problema: le generazioni del baby boom intendono riscuotere anche in pensione la condizione goduta nel mercato del lavoro (pieno impiego, stabilità, ecc.) anche se sanno benissimo che loro saranno gli ultimi ad avvalersene, mandando il conto alle generazioni future.
di Giuliano Cazzola e Franco VergnanoLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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