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Perché votare oggi e domani

Elezioni europee: gli appelli al voto hanno sempre qualcosa di retorico, ma oggi più che mai – nonostante l’accresciuto senso di inutilità – serve una coscienza civica collettiva

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Perché votare oggi e domani

Elezioni europee: gli appelli al voto hanno sempre qualcosa di retorico, ma oggi più che mai – nonostante l’accresciuto senso di inutilità – serve una coscienza civica collettiva

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Perché votare oggi e domani

Elezioni europee: gli appelli al voto hanno sempre qualcosa di retorico, ma oggi più che mai – nonostante l’accresciuto senso di inutilità – serve una coscienza civica collettiva

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Elezioni europee: gli appelli al voto hanno sempre qualcosa di retorico, ma oggi più che mai – nonostante l’accresciuto senso di inutilità – serve una coscienza civica collettiva

Gli appelli al voto hanno sempre qualcosa di retorico, il rischio di apparire parole e pensieri polverosi, di maniera. Un po’ come quelle raccomandazioni che ci facevano gli zii di una certa età quando eravamo bambini. Appelli, oltretutto, minati dalla consapevolezza della loro perfetta inutilità. Quando a votare si andava in massa il problema ovviamente non si poneva e nessuno studiava il tema, oggi i buoi sono scappati ed è fastidiosa la sensazione di non sapere neppure da che parte cominciare a cercarli.

Premesso che una lenta e costante erosione dei votanti è un fenomeno di tutti i Paesi avanzati e delle liberal democrazie più ricche e sviluppate (in Olanda ha votato il 44%), il caso specifico italiano ha delle caratteristiche peculiari.

Tanto per cominciare, il tramonto dei grandi partiti popolari e delle contrapposizioni ideologiche che smossero le masse nel secolo scorso. Poi, la devastante crisi della politica segnata da Tangentopoli, la fine dei partiti novecenteschi e la nascita dei partiti “personali”, delle grandi avventure di leader catalizzatori ormai quasi del tutto indipendenti dalle formazioni politiche di riferimento. Poi, mazzata finale, l’ascesa populista.

Ci resta un panorama di macerie, in termini di fiducia e partecipazione, nel momento storico peggiore possibile. Proprio quando servirebbe un’accresciuta coscienza civica collettiva, la capacità di comprendere la portata delle scelte da fare e della responsabilità che ne conseguono, ci siamo trovati sommersi da qualcosa di più subdolo della sfiducia: il senso di inutilità. È il frutto di una politica piccola, con il capo ossessivamente reclinato e gli occhi tenuti ben fissi al suolo.

Slogan di una banalità dirompente, liti furibonde su aspetti del tutto insignificanti o quantomeno marginali della vita dei cittadini europei di domani. Nessuna risposta alle domande che ci fanno i nostri figli. Loro cittadini europei lo sono di nascita e non si pongono neppure il problema di ridicole distinzioni fra Milano e Barcellona, Roma e Berlino, Napoli, Marsiglia, Valencia, Copenhagen, Anversa, Tallinn, Lubecca o Charleroi (molte di queste città i ragazzi le hanno messe nella loro personalissima cartina geografica grazie a low cost ed Erasmus, che hanno fatto di più per il sogno europeo di migliaia di discorsi zeppi di retorica).

Sono arcistufi di farsi indicare come cervelli in fuga, se vanno a sperimentare e sperimentarsi all’estero. Vorrebbero “semplicemente” le opportunità che i loro concittadini europei tedeschi, francesi, spagnoli, olandesi ma sempre più spesso polacchi, estoni o cechi riescono a sfruttare molto prima e meglio di loro. Vorrebbero parlare di questo e sentono parlare solo di altro. Di paure, non di rado di storie inventate.

Per non chiudere incoerentemente con un appello al voto, ci limitiamo a sperare che i ragazzi spingano i genitori a uscire dal cono d’ombra della paura e dell’egoismo.

Di Fulvio Giuliani

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