Il ponte da solo non è un ponte sul futuro
Il ponte sullo stretto di Messina è una faccenda maledettamente seria, se la si vuole affrontare non come strumento elettorale
Il ponte da solo non è un ponte sul futuro
Il ponte sullo stretto di Messina è una faccenda maledettamente seria, se la si vuole affrontare non come strumento elettorale
Il ponte da solo non è un ponte sul futuro
Il ponte sullo stretto di Messina è una faccenda maledettamente seria, se la si vuole affrontare non come strumento elettorale
Il ponte sullo stretto di Messina è una faccenda maledettamente seria, se la si vuole affrontare non come strumento elettorale
Il ponte sullo stretto di Messina è una faccenda maledettamente seria, se la si vuole affrontare non come strumento elettorale – schierandosi fra i favorevoli o i contrari “a prescindere”, per dirla alla Totò – ed emblema dei ritardi infrastrutturali del Paese. Che diventa pura tragedia economica al Sud, quasi del tutto tagliato fuori dai grandi investimenti che hanno trasformato la mobilità di persone e merci al Centro-Nord.
Il problema non può essere considerare un’opera di questa portata, dimensioni e costi come la scommessa di una singola parte politica o, peggio, di un singolo leader. Lo fu per Silvio Berlusconi, che non riuscì mai a passare dagli annunci ai fatti, e lo è oggi per Matteo Salvini, che ha fatto del ponte il manifesto, l’essenza stessa della sua personalissima politica “del fare“.
Dire di Sì o di No per partito preso, superficialità o addirittura simpatia o antipatia, significa condannarsi a un tragico immobilismo. A valle di qualsiasi considerazione tecnica o giuridica – ne abbiamo sentite di tutti i colori e nessuno a tutt’oggi può dire di aver messo una parola definitiva in materia – è del tutto evidente che il ponte in quanto tale non varrebbe la spesa e l’impatto ambientale. In quanto tale, cioè piazzato lì fra due sponde destinate a restare nell’arretratezza infrastrutturale. Se inserito in un progetto integrato a livello nazionale – in grado di trascinare il Mezzogiorno nel III millennio – il discorso cambierebbe radicalmente.
In un pezzo di Paese che non ha ferrovie degne di questo nome, la cui autostrada di riferimento fino a Reggio Calabria è quello che in napoletano si definisce uno “sparpetuo”, senza strade ferrate da era moderna in Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata (non è interessata dal ponte, ma ogni tanto la riflessione sulla Sardegna andrebbe fatta), solo chi è intellettualmente disonesto si ferma a parlare del ponte sullo stretto di Messina e non va oltre.
L’impresa al Sud parte penalizzata in modo mostruoso dall’assenza di collegamenti efficienti, vie d’asfalto, ferrate e marittime. Incredibilmente, in quest’ultimo caso, per un’area del Paese che di mare vive. Far partire e viaggiare i propri prodotti da Puglia, Calabria, da alcune aree dalla stessa Campania, per tacere di Sicilia e Sardegna è un’impresa titanica. Riuscire a competere così zavorrati è semplicemente la prova del genio italico.
E noi che facciamo? Litighiamo sul ponte, senza pretendere investimenti strategici per portare l’alta velocità ovunque, aggiornare le autostrade al traffico moderno, razionalizzare gli aeroporti e trasformare i porti dalle spesso fatiscenti cattedrali nel deserto a quello che dovrebbero essere: la porta d’accesso e di partenza dell’intero Sud Europa verso il Nord Africa e il Medioriente.
Noi parliamo del ponte, come se calarlo magicamente fra Scilla e Cariddi valga di per sé lo sviluppo del nostro Meridione o ne determini il definitivo sfacelo
di Fulvio Giuliani
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