Professionisti dell’antifascismo
Professionisti dell’antifascismo: ormai ne spuntano da ogni dove, indipendentemente dal grado di conoscenza del disgraziato ventennio
Professionisti dell’antifascismo
Professionisti dell’antifascismo: ormai ne spuntano da ogni dove, indipendentemente dal grado di conoscenza del disgraziato ventennio
Professionisti dell’antifascismo
Professionisti dell’antifascismo: ormai ne spuntano da ogni dove, indipendentemente dal grado di conoscenza del disgraziato ventennio
Professionisti dell’antifascismo: ormai ne spuntano da ogni dove, indipendentemente dal grado di conoscenza del disgraziato ventennio
Professionisti dell’antifascismo: ormai ne spuntano da ogni dove, indipendentemente dal grado di conoscenza del disgraziato ventennio che spinse l’Italia a vivere un sonno della ragione dalle conseguenze devastanti. Antifascisti che spesso non sanno, se non per sentito dire, come sia stato possibile appoggiare le scelte più abiette della storia.
Sapere non conta, l’importante è avere a disposizione un palco – fisico o virtuale cambia poco – dal quale urlare al ritorno prossimo venturo del regime o almeno di una sua forma aggiornata al III millennio. Non c’è giornata senza titoli cubitali in tal senso, appelli social, televisivi o in occasioni pubbliche tipo il “concertone“ del 1’ maggio.
Tutti antifascisti, senza sapere quasi un tubo del fascismo.
È così stringente e soffocante la presa della censura e degli “utili idioti” al servizio del rinascente regime che qui e altrove il sottoscritto può spesso occuparsi di fascismo da un punto di vista storico e non solo, ricordando la necessità di studiare, approfondire, conoscere prima di lanciarsi in allarmi quantomeno azzardati. Posso scrivere peste e corna di quella follia collettiva e non mi bloccano, non mi censurano, non mi si filano proprio.
Certo, si dirà, non cerco il parallelismo a tutti i costi fra l’era del fez e i governanti di oggi e quindi non risulterei “pericoloso”. Secondo qualcuno potrei essere un “allineato” di fatto. Sciocchezze a buon mercato, particolarmente utili se ci si deve vestire da vittime e se il sogno è essere i prossimi Scurati. Tutti questi professionisti dell’antifascismo, infatti, se ne restano lì a urlare alla fine della democrazia, sperando con tutte le forze che qualcuno li tiri giù dal palco regalando loro un po’ di notorietà, uno spicchio di audience e l’acquisto di un po’ di copie di un libro.
Un antifascismo da operetta, ormai astratto dallo studio e dal ricordo di quello che fu, degli orrori reali di un Paese che – salvo rare e luminose eccezioni – sopportò (e supportò) l’infamia imperitura delle leggi razziali standosene sostanzialmente zitto. Magari approfittando di chi veniva fatto fuori da impieghi, cattedre e posizioni, potendo prenderne il posto senza provare vergogna alcuna.
Urliamo all’antifascismo e non abbiamo neanche la forza di ricordare quali furono le reali dimensioni, caratteristiche e identità della lotta partigiana. Chi vi partecipò e su quali diverse barricate. Chi invece aspettò che gli Alleati facessero il lavoro sporco: la stragrande maggioranza degli italiani, per la cronaca.
Si urla da qualche palco digitale o reale alla ricerca dell’applauso più facile, invece di costruire gli anticorpi a difesa della nostra libertà. Serve la consapevolezza di quello che fu e delle scelte, pur ricche di contraddizioni ed errori, che ottant’anni fa ci garantirono un futuro di democrazia e sviluppo economico.
di Fulvio Giuliani
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche