Realismo
Preferiamo prendere una terza via per descrivere l’esito del G20. Non è stato né fallimento né un successo. Si è ottenuto ciò che si poteva, piuttosto che tentare l’impossibile e dover spiegare un fallimento.
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Preferiamo prendere una terza via per descrivere l’esito del G20. Non è stato né fallimento né un successo. Si è ottenuto ciò che si poteva, piuttosto che tentare l’impossibile e dover spiegare un fallimento.
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Preferiamo prendere una terza via per descrivere l’esito del G20. Non è stato né fallimento né un successo. Si è ottenuto ciò che si poteva, piuttosto che tentare l’impossibile e dover spiegare un fallimento.
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Preferiamo prendere una terza via per descrivere l’esito del G20. Non è stato né fallimento né un successo. Si è ottenuto ciò che si poteva, piuttosto che tentare l’impossibile e dover spiegare un fallimento.
Una lettura dei principali quotidiani internazionali non è sufficiente a farsi un’idea univoca sull’esito del G20 di Roma: successo o fallimento? Noi propendiamo per una terza via: sì è ottenuto ciò che si poteva in questo passaggio storico e considerate le condizioni geopolitiche in cui i grandi della Terra si sono dati convegno nella capitale.
Un risultato così fortemente ancorato al pragmatismo, del resto, si presta a letture diametralmente opposte. Sul clima si è registrato il risultato-copertina della due giorni. Inevitabile, considerata la gigantesca pressione dell’opinione pubblica (occidentale, non dimentichiamolo mai) sul tema. Proprio il doppio compromesso – sull’accordo per un aumento massimo di 1,5 °C della temperatura globale e sulle cosiddette ‘emissioni zero’ da raggiungere entro o intorno il 2050 – è la cifra dell’approccio scelto. Fare ciò che si può, piuttosto che tentare l’impossibile e dover spiegare un fallimento totale.
Il G20 ha portato Cina e Russia a firmare l’impegno sulla neutralità delle proprie emissioni inquinanti, seppur differito di 10 anni rispetto al 2050 indicato da Unione europea e Stati Uniti. È rimasta solo l’India senza una data, sacrificio considerato accettabile. Non chiamatela politica dei piccoli passi, perché solo pochi anni fa i cinesi non si sarebbero neanche seduti a discuterne e un biennio or sono erano gli Stati Uniti a mettersi di traverso. «Altro che bla bla bla» ha chiosato un Mario Draghi palesemente soddisfatto del punto di caduta del confronto.
Il presidente del Consiglio, in questo passaggio, ha riconosciuto il valore dei movimenti popolari ma anche rivendicato il ruolo di chi le decisioni le deve prendere con realismo, coraggio e capacità di ascolto delle posizioni altrui. Si tratta di ruoli e mestieri diversi e Mario Draghi – non a caso uno dei grandi protagonisti del G20 all’Eur – riconosce, ma non blandisce.
Che si tratti dei messaggi trasversali di Putin o Xi (non erano fisicamente a Roma, ma c’erano eccome) o delle piazze del Climate Change, con un occhio alla Cop26 al via a Glasgow. Questo risultato non sarebbe stato possibile senza l’affermazione del secondo punto uscito trionfatore da Roma: il multilateralismo che ha favorito lo stesso accordo sui dazi, di cui ragioniamo qui di fianco.
Multilateralismo, fondamentale anche per l’Ue, non può significare far felici tutti, ma ascoltare ogni posizione e individuare una maggioranza di Paesi da cui far partire le istanze più impegnative. Senza questo approccio, non sarebbe stato possibile un accordo neppure sul fronte dei vaccini: i leader si sono impegnati a immunizzare il 70% della popolazione mondiale entro il 2022.
Una risposta a quella sanguinosa distanza tra la media di vaccinati nei Paesi più avanzati e quelli meno: 70% contro 3%. Più scontato era il risultato sulla global minimum tax al 15%, la tassazione internazionale sui profitti delle big tech.
Sarà possibile tassare anche nei Paesi dove si fanno gli utili e non solo in quelli di residenza fiscale. Un G20 realista e senza ‘re’, buon viatico per il futuro.
di Fulvio Giuliani
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