Referendum, quo vadis?
Quello che sta andando in scena con questo referendum, benché per un pubblico ristretto, è il ritratto della classe politica: pusillanime e trasformista

Referendum, quo vadis?
Quello che sta andando in scena con questo referendum, benché per un pubblico ristretto, è il ritratto della classe politica: pusillanime e trasformista
Referendum, quo vadis?
Quello che sta andando in scena con questo referendum, benché per un pubblico ristretto, è il ritratto della classe politica: pusillanime e trasformista
In perfetto stile latinorum, specialità dell’Azzecca-garbugli, scatenando i costituzionalisti di debole costituzione, si può ancora sperare di non dovere dire nulla circa il merito dei quesiti referendari e puntare al vero e unico obiettivo collettivo: la mancanza del quorum. Ma ‘ndo vai? Quo vadis? Quello che sta andando in scena, benché per un pubblico ristretto – visto che quello più vasto non se ne interessa punto – è il ritratto della classe politica: pusillanime e trasformista. Da una parte e dall’altra.
Vado e non voto, la dottrina esposta da Meloni, ha due finalità: a. mettere una pezza allo sproposito della seconda carica dello Stato (La Russa) che invita a non votare (anche la formula Meloni è un non voto, ma cercando di sfuggire all’idea della diserzione); b. evitare che qualcuno chieda quale sia la posizione del proprio partito circa il merito dei quesiti referendari. La qual cosa sarebbe imbarazzante, visto che talune norme furono approvate dalla maggioranza del governo Renzi e l’attuale maggioranza non le votò, quindi si dovrebbe ipotizzare una coincidenza di vedute fra la Cgil landinizzata e il governo melonizzato. Sovrapposizione inappropriata, che è meglio svicolare non toccando le schede, appestate dal passato.
Il che vale, in senso opposto, anche per il Partito democratico, che quelle leggi votò compattamente (anche la minoranza riottosa alla fine si allineò) e ora chiede agli elettori di abrogarle. Un salto indietro all’epoca pre Luciano Lama, caldeggiata da Landini. Neanche da quelle parti, dunque, c’è una gran voglia di discuterne nel merito. Anche perché da quelle norme la precarietà non fu accresciuta ma diminuita. In quei meccanismi c’è una delle ragioni per cui i nuovi contratti di lavoro sono prevalentemente a tempo pieno e indeterminato. Cosa di cui il governo Meloni si vanta, avendo avversato quelle norme; mentre chi le approvò ora chiede di cancellarle, sostenendo che i risultati siano stati opposti a quelli reali. Roba da confondere le idee a Pirandello. Per forza che nessuno ha voglia di discutere nel merito.
Il mancato quorum sarebbe il trionfo collettivo. Chi ha chiamato l’astensione (per carità di Patria nessuno andrà a contare quante decine saranno gli elettori che adotteranno la dottrina Meloni) si dirà trionfatore, in realtà cavalcando l’astensione di cui poi tornerà a dirsi affranto. Chi ha chiamato i referendum dirà che la percentuale dei votanti favorevoli alle abrogazioni è altissima, così cavalcando il fatto che gli altri manco se li sono filati. Il solo risultato che potrebbe annichilire tutti sarebbe quello per cui il quorum scatta e prevalgono i No. Sarebbe una bella lezione impartita ai commedianti ed è la ragione per cui andrò certamente a votare, nel senso indicato. Ma non accadrà. Quei referendum sono suicidi, fin dall’inizio. E sono anche referendumcidi.
La diatriba sulla legittimità o meno di chiamare l’astensione è tanto poco interessante quanto poco significativa. Certo che è legittimo e, a turno, lo hanno fatto quasi tutti. Peccato che la memoria poi falli sulle conseguenze: sono andati male, perché quella chiamata è in sé una dimostrazione di debolezza. Si evita la pugna e si suggerisce la siesta, solo che poi ti ci lasciano, a riposare.
Tutto questo racconta di un mondo politico che non soltanto vive pressoché esclusivamente di contrapposizioni, ma a forza di contrapporsi senza elaborare idee e proposte finisce con lo scambiarsi le bandiere. Si guardano a vicenda, ma non guardano il resto. Tanto per dirne una: il mondo del lavoro è radicalmente diverso e la partita della sicurezza e prosperità si gioca nel campo della formazione e della ricerca.
P.S. Diverso è il quinto referendum, sulla cittadinanza, voluto da +Europa. C’era stata un’apertura di Forza Italia. Sarebbe stato ragionevole incalzarla in Parlamento e, in quanto opposizione, evidenziarne le contraddizioni. Invece si sceglie il referendum suicida, così neanche di questo si discute nel merito.
Quo vadis? Un’idea ce l’avrei.
Davide Giacalone
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