Regionali e indifferenza
Domenica e lunedì si voterà per le elezioni regionali in Lombardia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Molise. Tutto permeato da una sconfortante indifferenza
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Domenica e lunedì si voterà per le elezioni regionali in Lombardia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Molise. Tutto permeato da una sconfortante indifferenza
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Domenica e lunedì si voterà per le elezioni regionali in Lombardia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Molise. Tutto permeato da una sconfortante indifferenza
Domenica e lunedì si voterà per le elezioni regionali in Lombardia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Molise. Sin qui ciò che tutti sanno, almeno ci auguriamo. Perché oggettivamente l’avvicinamento alla tornata elettorale amministrativa non è dei più caldi e partecipati che si ricordino. Brutalmente detto, i 120 secondi di follia di Blanco sul palco di Sanremo hanno catturato l’attenzione del Paese in grado incommensurabilmente superiore rispetto a un’intera campagna elettorale alquanto pallida. Fedeli specchi dei loro elettori, i politici non sono da meno, battagliando su Chiara Ferragni, Roberto Benigni o Paola Egonu.
Consapevoli di rischiare di essere tacciati di qualunquismo, è comunque difficile negare la profonda indifferenza per la corsa alla presidenza di alcune delle più popolose e strategiche Regioni d’Italia. Conviene sempre guardare in faccia la realtà e non accontentarsi delle spiegazioni più ovvie: pesa indiscutibilmente la sensazione che la partita sia quasi sempre già chiusa (a vantaggio del centrodestra, ma nulla cambierebbe a parti invertite, ndr.) così come il dimenticabile confronto fra le diverse personalità in lizza per le presidenze. Ancora, l’inevitabile stanchezza dopo la sfibrante campagna elettorale che portò alle politiche e il perdurare di polemiche percepite come sempre uguali e di scarso impatto sulla vita delle persone. Quando sarebbe invece vitale rimettere a posto l’ordine delle cose: sono elezioni amministrative, importantissime per i territori direttamente interessati, fondamentali nel determinare scelte che incideranno direttamente sui servizi a disposizione dei cittadini lombardi, laziali e così via.
Aspetti veri, concreti, in taluni casi cruciali – si pensi alla sanità sciaguratamente regionalizzata – mentre alla fine vince sempre un diffuso e stordente chiacchiericcio: il mito ripetitivo delle “conseguenze di carattere nazionale”, delle inevitabili ripercussioni all’interno delle diverse coalizioni e sui destini personali dei leader. Come se si potesse vivere in una campagna elettorale permanente, esposti h24 agli umori dell’elettorato, anche quelli più legati all’emozione del momento.
Come si può mai governare in una condizione del genere? Vale ovviamente per tutti gli schieramenti e i diversi ‘capi’, tutti finiti in una condizione di progressiva perdita di potere e capacità decisionale. Si passa il tempo con l’orecchio teso al consenso di oggi, in un infinito girotondo vittoria/sconfitta da rivendicare o riscattare. Restando alla stretta attualità, lo sa bene la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che si avvicina all’appuntamento elettorale del 12 e 13 febbraio ripetendo il mantra della “conferma” del mandato politico ottenuto il 25 settembre (2022, non 2012), per poter lavorare a media e lunga scadenza. Lo fa perché perfettamente consapevole di quanto non basterà avere agilmente la meglio su opposizioni sfilacciate e sfibrate, ma si dovranno gestire i prevedibili mal di pancia di alleati – Lega in primis – che su questa tornata amministrativa hanno puntato molte fiches per riprendersi dallo shock delle politiche.
Nulla di strano, equilibri che fanno parte della storia delle coalizioni di governo, purché appunto siano tali. Purché si abbia un’idea di sé che vada oltre il prossimo appuntamento con le urne. Non possiamo scavallare le regionali e cominciare a fare il countdown per le amministrative di primavera e le europee del 2024. È la cronaca, peraltro, della politica per la politica con cui abbiamo a che fare da lustri. Con una significativa eccezione e clamorosa sconfitta per i partiti, nessuno escluso: i 17 mesi in cui ha governato Mario Draghi, durante i quali l’Italia – libera dalla iattura dei like e dei sondaggi – ha sorpreso l’Europa e il mondo.
di Fulvio Giuliani
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