Renzi, da enfant prodige fiorentino a bugiardo matricolato della politica
«Cogito ergo sum» era la summula di Cartesio. Mentre Matteo Renzi è tutto un «Loquor ergo sum». Un bugiardo matricolato. Come molti politici, si potrebbe dire. No, lui esagera
Renzi, da enfant prodige fiorentino a bugiardo matricolato della politica
«Cogito ergo sum» era la summula di Cartesio. Mentre Matteo Renzi è tutto un «Loquor ergo sum». Un bugiardo matricolato. Come molti politici, si potrebbe dire. No, lui esagera
Renzi, da enfant prodige fiorentino a bugiardo matricolato della politica
«Cogito ergo sum» era la summula di Cartesio. Mentre Matteo Renzi è tutto un «Loquor ergo sum». Un bugiardo matricolato. Come molti politici, si potrebbe dire. No, lui esagera
C’era una volta Matteo Renzi. Sembra una favola e invece, con il senno di poi, è un incubo. Ai tempi del liceo classico, un ragazzo prodigio. I suoi compagni di scuola lo considerano un leader. Il suo insegnante di storia e filosofia, Giuseppe Cangemi, lo coccola. Nonostante militi nel Msi. Dà la scalata al potere senza riguardi per nessuno. Da quell’enfant prodige che era. Un birichino. Si fa un punto d’onore di spiegare agli altri quello che lui stesso non capisce. Con naturalezza indossa i panni del marchese del Grillo. Con un ego smisurato, si mette a tu per tu con Cartesio.
«Cogito ergo sum» era la summula del Filosofo. E il Nostro è tutto un «Loquor ergo sum». Un fine dicitore. Anche perché a pensare c’è sempre tempo. A un redattore alle prime armi davanti a un foglio bianco, proprio questo disse l’allora direttore de “La Nazione” Enrico Mattei: «Tu scrivi, a pensare c’è sempre tempo».
Un bugiardo matricolato, Renzi. Ma ha un’attenuante: se i politici dicessero sempre la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, farebbero meglio a darsi all’ippica. Ma lui esagera. Segretario del Pd dopo aver sbaragliato la concorrenza, dà l’estrema unzione politica a Enrico Letta, presidente del Consiglio pro tempore. Nulla a che fare con zio Gianni, che ne ha sempre saputa una più del diavolo. A dispetto di quell’aria serafica da santarellino. Per indorare la pillola, il segretario fiorentino, il Machiavelli de noantri, lo rassicura con il famoso «Stai sereno». E subito dopo Letta perde la cappa. Non la prende bene. Da quel signore che è, non tanto per aver perso la cadrega, ma per il modo vile con il quale è sbalzato di sella. Così appende al chiodo la politica e si dà all’insegnamento universitario.
Il nostro eroe prosegue la scalata al potere. Suggerisce a Mattarella il suo successore. Così Paolo Gentiloni approda per grazia ricevuta a Palazzo Chigi. Ma il Nostro lo considera un presidente del Consiglio per finta. Come nel 2018 Di Maio e Salvini consideravano Conte. Che, come il Conte di Montecristo, preparerà la sua vendetta. Ma il troppo è troppo. Così il povero Gentiloni non tarderà a manifestare il proprio disappunto. Ma senza dare troppo nell’occhio. Che diamine, non si è democristiani per niente. Prezzemolino, Renzi s’intromette dappertutto. Segretario del Pd e presidente del Consiglio, è una potenza. Ed è determinante nell’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale. Ma s’immischia in questioni che non gli competono. Per dirne una, affianca sue proprie consultazioni a quelle del capo dello Stato. Mattarella è un uomo tranquillo. Mai una parola sopra le righe. Ma sul comodino terrà un libriccino dove Renzi sarà segnato nigro lapillo.
Comprereste una macchina usata da un tipino del genere? Un attaccabrighe, per di più. I fiorentini si dividono in due categorie: quelli che ci hanno litigato e quelli che ci litigheranno. Nemo propheta in patria. Se lo conosci, lo eviti. Con quel caratterino, dalle stelle alle stalle. E poi non si morde mai la lingua. La sua riforma costituzionale ridimensiona i poteri di Palazzo Madama. E così presenta ai senatori il suo governo: sarà l’ultima volta che vi chiederò la fiducia. Un dito nell’occhio. Lo spergiuro giura che se la sua riforma non verrà confermata dal referendum, pianterà baracca e burattini e si cercherà un lavoro. Invece fonderà Italia Viva con i fidi Boschi e Bonifazi. E con loro si riunirà, anziché alla Leopolda, in una cabina telefonica.
Adesso, guardatelo: non è più lui. Le sinistre gli fanno la pipì sul suo fiore all’occhiello, il Jobs Act, e lui abbozza. Muto come un pesce. Elly Schlein contrappone il vecchio Pd a quello – volete mettere – da lei guidato, e lui non fa una piega. In compenso, sputa veleno contro il presidente del Consiglio. Perché per una discutibile disposizione infilata nella legge di bilancio, lui non potrà più tenere conferenze ben retribuite in Paesi extraeuropei. A meno che non lo autorizzi, cosa ridicola, il presidente del Senato. Giorgia Meloni, la sua ossessione. Cosa non si farebbe per essere accolti come ruota di scorta nel club dei perdenti di successo. Ma davvero Parigi, sempre che Renzi ci arrivi, val bene una messa?
Di Paolo Armaroli
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