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Perché l’Italia accetta un certo giornalismo

Solo un’Italia di un certo tipo può accettare supinamente un’inchiesta (quella di Report su Giuli) che non ha nulla da offrire, se non teoremi e allusioni

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Perché l’Italia accetta un certo giornalismo

Solo un’Italia di un certo tipo può accettare supinamente un’inchiesta (quella di Report su Giuli) che non ha nulla da offrire, se non teoremi e allusioni

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Perché l’Italia accetta un certo giornalismo

Solo un’Italia di un certo tipo può accettare supinamente un’inchiesta (quella di Report su Giuli) che non ha nulla da offrire, se non teoremi e allusioni

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Solo un’Italia di un certo tipo può accettare supinamente un’inchiesta (quella di Report su Giuli) che non ha nulla da offrire, se non teoremi e allusioni

La privacy è sacra e soprattutto è una cosa maledettamente seria. Però deve essere trattata come tale sempre, non a giorni e a persone alterni. In Italia, invece, la privacy è intoccabile quando riguarda noi, i nostri amici o la nostra parte politica. Se è questione degli altri, troppo spesso siamo pronti ad accettare dei distinguo, i “sì, però”.

Ecco, non esiste alcun “però”, “ma”, “anche se” e così via: sono decenni che viviamo infischiandocene bellamente dell’onorabilità altrui. Spesso molto semplicemente ci facciamo gli affari del prossimo, nello stesso momento in cui alziamo la voce in difesa dell’inviolabilità della nostra sfera personale. Siamo così abituati a puntare il dito, a moraleggiare, da considerare ormai normale far politica o altro sbirciando nel letto altrui.

Vi basti pensare a quanto accaduto la scorsa settimana dalle parti del ministero della Cultura, fatto che in una democrazia evoluta e matura non dovrebbe riguardare solo i partiti direttamente coinvolti o l’area di maggioranza.

Urlare alla democrazia vilipesa per ogni nomina che non piace, dopo aver fatto esattamente la stessa cosa a parti invertite per anni, significa solo fare il gioco di chi ritiene accettabile che la vita pubblica e privata venga influenzata o peggio da inchieste fantasma. Dal semplice minacciarle, adombrare l’idea di sapere chissà cosa.

Sì, ci riferiamo alla questione Report-Giuli: solo quell’Italia di cui sopra può accettare supinamente un’inchiesta che non ha nulla da offrire, se non teoremi e allusioni. Sbandierata, anticipata, gonfiata all’inverosimile dai suoi stessi responsabili, nella speranza che qualcuno caschi nel trappolone e si precipiti a bloccarla. In modo che si possa urlare all’attentato alla democrazia, all’omicidio della libertà di stampa. Le ben visibili stimmate del martire possono tornare utili. Già visto, già accaduto.

Nel frattempo, l’inchiesta che non c’è risulta più che sufficiente ad azzerare la professione e la vita di una persona (Francesco Spano) di cui non siamo ancora riusciti ad afferrare quale sia la colpa. Il contratto di consulenza al museo Maxxi di Roma sembra francamente troppo poca cosa per scatenare questo inferno e in particolare per non far scattare la difesa d’ufficio della propria parte politica.

Certo, Spano è notoriamente uomo di sinistra, ma la maggioranza avrebbe avuto tutto l’interesse a difendere quella scelta. Se non altro per evitare un nuovo terremoto dopo l’inferno della vicenda San Giuliano-Boccia. E invece nulla: sono bastati quattro spifferi e due allusioni e quella carriera, quella vita sono state abbandonate al loro destino. Accompagnate dai volgari giudizi emersi da alcune chat, in cui l’aspetto insopportabile per taluni risulterebbe l’omosessualità di Spano, forse persino più del cuore a sinistra.

A fare una figura indecorosa sono certi ambienti di destra ma anche l’opposizione silente. Ma come, la sinistra dei diritti non ha nulla da dire?

di Fulvio Giuliani

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