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Politica e magistratura, atavico problema italiano. Tra accuse e regole, tutti si accusano di essere forcaioli a fasi alterne. Ma lo sono tutti e lo spettacolo è penoso

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Tutto questo è di indicibile noia e inutilità. Gli uni continueranno ad accusare il magistrato che inquisisce un politico amico d’essere politicizzato, mentre il problema è l’incapacità della politica di stabilire regole che preservino l’indipendenza del giudizio e il rispetto dei diritti individuali. Fra i quali non c’è soltanto la libertà, ma anche l’onorabilità. Mentre gli altri politici continueranno a chiamare “giustizia” l’ipotesi d’accusa, perché incapaci di elaborare accuse men che generiche e sloganistiche in campo politico. Gli uni e gli altri rimproverandosi a vicenda d’essere forcaioli a fasi alterne. Se può servire: lo siete stati quasi tutti ed è uno spettacolo penoso. Concentriamoci sulle vie d’uscita. Ne segnalo due, pertinenti a quanto succede in queste ore. Una normativa e l’altra culturale o, se si preferisce, di costume.
  1. In nessuno Stato di diritto esiste la possibilità che si impedisca a un procuratore di svolgere un’indagine. O, per meglio dire, sistemi come quello francese o tedesco prevedono che si possa farlo – dato che il procuratore dipende dal governo – ma presuppongono che il governo si assuma la responsabilità di quella scelta. Difatti accade assai di rado e mai riguardo a politici. Il procuratore non è un “giudice”, ma un magistrato che non giudica nessuno, cura le indagini e sostiene l’accusa. Se qualcuno chiama “giudice” il procuratore pensate all’ortopedico che chiami “femore” l’osso del vostro braccio e scappate via lontano: quello vi ammazza. Non è un giudice, ma deve essere libero di indagare, naturalmente nel rispetto della legge.
Quel che serve non è esercitare un controllo politico sull’attività delle Procure, ma farlo sui risultati che ottengono. La produttività può ben essere misurata anche in questo campo e chi lo nega cerca soltanto di non essere misurato. Si cancelli l’obbligatorietà dell’azione penale e si introduca la responsabilità: sei libero di indagare e accusare, ma se cumuli casi di cittadini che hai accusato e che sono stati assolti togli il disturbo. Può darsi che tu sia sfortunato, più facilmente sei incapace e potresti essere prevenuto o politicizzato, in ogni caso vai allontanato.
  1. Dalle stanze del governo sono uscite parole intrise di preoccupante nervosismo circa i casi Delmastro e Santanchè. Che sono pure due cose di non gran rilievo. Se se la prendono con questo piglio, se immaginano di potere condurre una battaglia non per la riforma della giustizia (più che giusta) ma per difendersi dalle iniziative giudiziarie, hanno già perso in partenza. Come altri prima di loro. Usino la civiltà, con un pizzico di sana malizia.
In questi giorni un politico del Partito democratico, Mario Oliverio, ha ricevuto un avviso di garanzia. È stato sparato sui mezzi d’informazione con il solito clamore conformista, con il solito servile ossequio copista nei confronti dell’accusa. Non si ricorderà mai abbastanza che non ci sarebbe una politica così ridotta se non avessimo un giornalismo corrivo al peggio. Soltanto che quella stessa persona è già stata accusata di altri reati infamanti, s’è messa in scena la stessa danza tribale, salvo poi – in silenzio e dopo tempo – essere assolta. Dunque, fra i tanti che ne avete, trovate un parlamentare della destra che dica: non conosco la posizione personale di Oliverio, non tocca a me giudicare, ma per me resta, ai sensi della Costituzione, un innocente fino a prova del contrario. Punto. Non aggiunga altro, che gli viene male. Punto. Soltanto questo autorizzerebbe a chiedere reciprocità, nel rispetto del diritto e dei diritti individuali. Mentre da decenni, con oramai bolsa barbarie, praticano la reciprocità nell’inciviltà. Avviso ai deliranti: è diventato noioso, si sa già che è inutile, ciascuno resterà prigioniero delle infamità che dice e l’inquisitore oggi accusato d’essere rosso domani lo sarà d’essere nero, in un massacro della giustizia di cui fa le spese non il politico inquisito (e dai suoi protetto), ma il cittadino di cui a nessuno importa un fico secco. di Davide Giacalone

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