Riarmo occidentale
È infantile odiare le armi, il riarmo, ma apprezzare la tranquillità quotidiana, l’assenza di guerre e l’indifferenza per quelle che si combattono fuori dal cortile di casa

Riarmo occidentale
È infantile odiare le armi, il riarmo, ma apprezzare la tranquillità quotidiana, l’assenza di guerre e l’indifferenza per quelle che si combattono fuori dal cortile di casa
Riarmo occidentale
È infantile odiare le armi, il riarmo, ma apprezzare la tranquillità quotidiana, l’assenza di guerre e l’indifferenza per quelle che si combattono fuori dal cortile di casa
Dalla «pace in 24 ore» alla «pace impossibile» fra Zelensky e Putin sono passati appena tre mesi, segnati da un’intensa diplomazia ciclotimica. Quanti ancora avessero remore anche solo a parlare di armi, dovrebbero sentirsi rassicurati dal piano ReArm/Readiness 2030 e dalla relativa previsione di spendere 800 miliardi di euro per missili, droni, carri armati e cybersecurity. È infantile odiare il riarmo, le armi, ma apprezzare la tranquillità quotidiana, l’assenza di guerre e l’indifferenza per quelle che si combattono fuori dal cortile di casa. Poi, si chiedono, perché aggiungere altri 800 miliardi visto che i 27 Paesi dell’Unione ne hanno spesi 326 solo nel 2024, cioè l’1,9% del Pil? Domande sicuramente legittime, per chi individua nel cortile di casa i confini del mondo.
Quegli 800 miliardi che Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e altri vedrebbero più utilmente impiegati per costruire scuole, ospedali, università e parchi giochi sono in realtà necessari per impedire che scuole, ospedali, università e parchi giochi possano un giorno essere distrutti – come in Ucraina – dai droni e dai carri armati, oggi di Putin domani non sai di chi.
Quando il 4 marzo Ursula von der Leyen ha annunciato il piano di riarmo (corretto e integrato, per non urtare le anime sensibili, con Readiness 2030) erano passate poche ore dall’annuncio con cui Trump sospendeva gli aiuti militari all’Ucraina. L’Unione Europea deve imparare a fare da sé, ci ripete ogni giorno Trump e ogni giorno il suo vice – convinto di avere a che fare con dei «parassiti» – sollecita un incremento delle spese militari.
Da quel momento non ci sono più alibi per i pacifisti con le guerre altrui. Di quegli 800 miliardi, 150 sono destinati a finanziare acquisti congiunti di due o più Paesi così da favorire una maggiore integrazione nei sistemi d’arma e porre le basi per la futura difesa comune. Ulteriori 650 miliardi sono per incrementare la spesa a livello nazionale e per questo si prevede l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità. Questa misura permetterà agli Stati membri di aumentare la spesa per la difesa anche oltre il limite del 3% di deficit senza incorrere nella procedura di infrazione europea.
L’Italia e il ministro Crosetto devono vedersela, però, con il custode del bilancio. E Giancarlo Giorgetti, che è un ministro occhiuto con le tabelle dei conti pubblici, deve vedersela con il leader del suo partito, Matteo Salvini, refrattario in materia di armamenti; di quelli poi acquistati congiuntamente in nome e per conto dell’Europa neanche a parlarne. Lui è favorevole ad acquistare soltanto armi americane. Tipo gli F16, aerei straordinari con un’unica controindicazione: non possono volare da Aviano se qualcuno a Washington non attiva il software. Siamo fermi a una spesa, stimata per il 2024, intorno all’1,57% del Pil. Arrivare alla soglia del 2% (e Meloni vuole arrivarci prima del vertice Nato di giugno) significa trovare almeno 10 miliardi.
È fin troppo ovvio che è una questione di spazio fiscale. La Germania ha tagliato il nodo scorsoio del pareggio di bilancio e il cancelliere uscente Scholz ha annunciato, con l’accordo del suo successore, un piano da 1.000 miliardi in dieci anni, circostanza che farà di quel Paese quello meglio organizzato nella politica di sicurezza. Non è un dato trascurabile. E non per la ragione di qualche buontempone che paragona il riarmo di un governo democratico a quello di Hitler.
La realtà dice che da qui al 2030, deadline del piano von der Leyen, sarà ridefinita la gerarchia del potere in Europa. Nel programma di Merz è prioritaria la ripresa dell’asse con Parigi, cioè riattivare il cuore carolingio che ha scandito la storia europea. A loro si affianca la Polonia di Donald Tusk, che impegna già oggi il 4,5% del Pil per la difesa. In ritardo all’appello è oggi l’Italia, sospesi come siamo tra la difesa dell’unità dell’Occidente – il che, va detto, è meritevole – e il timore di calarsi stabilmente e senza più riserve sovraniste nella logica unionista della difesa europea. Perché il cuore dell’Occidente non si trova più dall’altra parte dell’Atlantico.
di Massimo Colaiacomo
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