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Riformare il sistema pensioni per renderlo più equo, si può

Si torna a reclamare una riforma del sistema pensionistico ma si dimentica che qualsiasi essa sia dovrà rispondere a una condizione minima essenziale: generare risparmi nel lungo periodo.

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Riformare il sistema pensioni per renderlo più equo, si può

Si torna a reclamare una riforma del sistema pensionistico ma si dimentica che qualsiasi essa sia dovrà rispondere a una condizione minima essenziale: generare risparmi nel lungo periodo.

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Riformare il sistema pensioni per renderlo più equo, si può

Si torna a reclamare una riforma del sistema pensionistico ma si dimentica che qualsiasi essa sia dovrà rispondere a una condizione minima essenziale: generare risparmi nel lungo periodo.

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Si torna a reclamare una riforma del sistema pensionistico ma si dimentica che qualsiasi essa sia dovrà rispondere a una condizione minima essenziale: generare risparmi nel lungo periodo.

Si torna a parlare di un’ennesima riforma dei parametri richiesti per “andare in pensione” e come d’abitudine è in corso un “attacco alla diligenza” da parte dei sindacati e dei partiti populisti per chiedere agevolazioni che costeranno miliardi di euro negli anni a venire. Senza entrare nei dettagli tecnici delle varie proposte in discussione, età minime e quote varie, a me pare che il fondo della questione sia facile a comprendersi nei seguenti punti.

Se non si vogliono aumentare ulteriormente né gli oneri sociali (che in Italia già producono salari troppo bassi e costo del lavoro troppo alto) né le imposte sul reddito (già troppo elevate, beninteso per chi le paga) e non si vogliono aumentare ulteriormente il deficit e il debito pubblico (già cresciuti a dismisura nel periodo del Covid e ora a rischio di diventare insostenibili con l’aumento dei tassi di interesse in corso), qualsiasi riforma dei criteri per andare in pensione deve rispondere a una condizione minima essenziale: generare risparmi nel lungo periodo o perlomeno non produrre alcun aggravamento dei costi della previdenza.

Ma è possibile riformare il sistema pensionistico per renderlo più equo e flessibile rispettando il criterio precitato? Certamente, è possibile. Basta decidere che chi va in pensione prima di aver raggiunto determinati parametri di età e/o anzianità contributiva riceverà una pensione mensile più bassa perché – almeno in termini attuariali – l’incasserà per un periodo di tempo più lungo. Tutto ciò, ovviamente, per chi ha lavorato in regime contributivo e non per i versamenti a capitalizzazione, ove l’ammontare della pensione non è basata su una percentuale dello stipendio precedente ma soltanto sui contributi effettivamente versati. Chi vuole evitare tali ‘tagli’ continui a lavorare. La matematica, infatti, resta tirannica e caparbia.

Se si rende ancor più generoso il sistema previdenziale aumentando i contributi, gli stipendi italiani continueranno a non crescere ma il costo del lavoro diventerà maggiore, aggravando il trend di impoverimento relativo del Paese che continua da un quarto di secolo. Se lo si fa creando ulteriori debiti presenti e futuri, si dovrà poi scegliere fra ulteriori aumenti delle tasse per quella minoranza di italiani che le paga oppure la bancarotta del sistema previdenziale, che non avrà mezzi per pagare le pensioni a chi oggi inizia a lavorare.

L’unica alternativa attuarialmente valida alle ipotesi qui descritte consiste nell’arrivo di un nuovo virus estremamente più letale del Covid-19 – dunque atto a ridurre la speranza di vita di due o tre anni – o lo scoppio in Italia di una guerra vera, come in Ucraina. Non credo sia quello che vogliamo augurarci.

di Ottavio Lavaggi

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