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Riformare, per esistere

Il problema è che nessuna delle due leader, Schlein e Meloni, potrà mai guadagnare una definita compiutezza. Serve riformare il Paese
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Riformare, per esistere

Il problema è che nessuna delle due leader, Schlein e Meloni, potrà mai guadagnare una definita compiutezza. Serve riformare il Paese
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Il problema è che nessuna delle due leader, Schlein e Meloni, potrà mai guadagnare una definita compiutezza. Serve riformare il Paese
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Il problema è che nessuna delle due leader, Schlein e Meloni, potrà mai guadagnare una definita compiutezza. Serve riformare il Paese
Cosa lascia sul terreno il day after della batracomiomachia del 25 aprile? Presto detto: un fall out di fuochi fatui, un falò di polemiche, furbizie ed evanescenti strumentalizzazioni. Meglio unirsi al grido di Sergio Mattarella «Ora e sempre Resistenza» e chiuderla lì. Fino al 25 aprile 2024, ovviamente: poi si ricomincia. L’elemento più straniante è che ciascun leader ha parlato ai suoi e soltanto a quelli. In questo modo Giorgia Meloni e la destra non supereranno mai l’esame del sangue dell’antifascismo militante, mentre la sinistra continuerà a venire considerata faziosa e oltranzista da coloro che non si assiepano sotto le sue bandiere. Altro che condivisione, addio pacificazione. Lo scenario politico continua a essere contrassegnato da miriadi di orticelli e ciascuno è pronto a preservare il proprio. Peccato che le due leadership al femminile rimangano delle gigantesche incompiute, ognuna in difetto di legittimazione e di rappresentanza, vista l’altissima percentuale di astensionismo. È questa la nostra condanna, la condanna dell’Italia a essere il paradiso del “particulare”? Forse. O magari forse no. Va bene che dirlo adesso, in un momento in cui sono (ri)emerse altissime pseudo-ideologiche divaricazioni, appare lunare. Va bene, però il problema rimane. E il problema è che nessuna delle due leader, Meloni e Schlein, che oggi dominano lo scenario dentro e fuori il Palazzo potrà mai guadagnare definitiva compiutezza, potrà mai assurgere al livello di statista e non di vincitore transeunte fintantoché – insieme, questo il punto – non impugneranno il vessillo delle riforme. La priorità (e l’obbligo) è governare il Paese di fronte a sfide drammatiche e laceranti: l’idea che ciascuna parte immagini di raggiungere il traguardo (ammesso che lo voglia, naturalmente) calzando gli scarponi chiodati, facendo strame dell’altra, non soltanto è velleitaria e pericolosa in un sistema democratico ma soprattutto è fallace, destinata al naufragio. Tradotto: se il Pnrr va a scatafascio, Meloni e il centrodestra pagheranno un prezzo salato ma l’opposizione si ritroverà sotto un cumulo di macerie che finiranno per asfissiarla. Se non verrà messa mano, con spirito costruttivo da parte di ognuno, alla revisione e all’ammodernamento della seconda parte della Costituzione, l’Italia continuerà a procedere in modo sbilenco e le istituzioni rimarranno sbilanciate, condannandoci se non al default quanto meno alla retroguardia. Parlare di riforme condivise è come abbaiare alla luna. Eppure soluzioni alternative non ce ne sono: possibile che la sorellanza di leadership politica non abbia la forza di produrre un soprassalto di senso di responsabilità? Per non parlare dell’immigrazione clandestina. Adesso perfino il ministro Piantedosi avverte che si tratta di un fenomeno «epocale»: ma come potremo avere la capacità di confrontarci in Europa se si continuerà a bordeggiare ammiccando a posizioni che per comodità chiamiamo sovraniste degli Stati dell’Est ma che si specchiano negli egoismi di quelli del Nord della Ue? Dobbiamo spenderci per cambiare trattati “preistorici”, per usare il lessico del Colle. Ma chi delle due (mezze) leader ha l’autorevolezza per farlo? Si vogliono, e giustamente, modificare i paletti del fiscal compact continentale. Ma con quale credibilità se poi nel cortile di casa si pretende di superare l’unità nazionale dando il via a ventuno repubblichette? Le riforme sono l’unica possibilità di dare una scossa all’Italia. Farle congiuntamente, ognuno conservando il proprio ruolo, è l’unico modo. Chi vuole privilegiare la propria (mutevole) identità faccia pure. Basta che non diventi il cappio che asfissia il Paese. Di Carlo Fusi

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