L’ultimo Consiglio europeo dell’anno e il board della Banca centrale europea sono due eventi che segneranno il calendario, generando un prima e un dopo.
Oggi e domani si terrà l’ultimo Consiglio europeo dell’anno. Sempre oggi si riunisce il board della Banca centrale europea. Si svolgeranno nella normalità, conosciamo bene i problemi che devono essere affrontati, come conosciamo gli interessi in gioco, sia quelli comuni che quelli legittimamente e sanamente diversi. Non ci sono date che segneranno la storia, ma questi due appuntamenti segneranno il calendario, generando un prima e un dopo.
Ed è ragionando di queste cose che Paesi e cittadini possono vedere fra i fumi del futuro. Ragionare solo di cose e scadenze interne sarà anche appassionante (forse), ma ammorba di fumi del passato. Ieri il Fondo monetario internazionale ha indicato alla Banca centrale inglese (Boe) la necessità di alzare i tassi d’interesse. Non ci sono tecnicalità incomprensibili, sono cose alla portata di tutti: il denaro costa molto poco, mentre l’inflazione si fa sentire e, alla fine, non si può arrivare a una condizione in cui sarebbe come essere pagati per avere denaro in prestito.
Questo cambio di rotta è già stato annunciato dalla Banca centrale statunitense (Fed). Quella europea l’ascolteremo oggi, ma suppongo tenterà di rinviare la questione. Che si porrà. Nel frattempo ne deve affrontare un’altra: lo squilibrio nell’acquisto di titoli del debito pubblico dei Paesi europei. Per noi questione delicatissima, perché oggi siamo favoriti.In via teorica quello squilibrio non può prodursi, perché quegli acquisti vengono fatti in rapporto alle quote di ciascuno all’interno della Bce (il così detto capital key).
Quindi non sono uguali per tutti, ma per tutti con il medesimo criterio. Il che non altera alcun equilibrio. Ma, nel pieno della crisi, quando si è ampliato l’intervento avviato nel 2012 (quella sì è una data storica), si è sospeso il criterio della contemporaneità: si continuerà ad acquistare in relazione alle quote, ma non necessariamente nello stesso momento. E, per ora, ciò ha portato a un maggiore sostegno verso l’Italia, la Spagna, la Grecia e il Portogallo.Neanche questo può durare e, oggi, diversi chiederanno di compensare. Solo che la compensazione, dovuta, non porterà benefici decisivi per i Paesi verso cui sarà diretta, mentre diminuisce gli acquisti di titoli già privilegiati.
E questo per noi non è ancora un problema, ma è un segnale cui fare molta attenzione. L’altra data storica è quella in cui, in piena pandemia, il governo tedesco ha superato le sue ritrosie e si è dato vita a un debito comune europeo. Il nostro interesse è stabilizzarlo e ampliarlo, ma non possiamo supporre, per l’avvenire, di essere sempre i più finanziati da quei soldi. Quindi siamo davanti a un doppio appuntamento: da una parte inizieranno a diminuire i sostegni, dall’altra inizieranno e si faranno vieppiù consistenti i finanziamenti del Recovery.
Il che, se non vogliamo romperci l’osso del collo, significa due cose: a. i soldi che arrivano devono essere spesi bene, che non significa solo onestamente, ma anche produttivamente (ed è il Pnrr); b. gli impegni che prendiamo devono essere mantenuti per anni, ivi compreso il decisivo lato relativo alle riforme. Tutto questo non mette neanche lontanamente in discussione l’autonomia politica di ciascuno e, segnatamente, la nostra, ma richiede di inserirla dentro quel quadro, perché fuori c’è la bancarotta e il danno agli interessi indisponibili dell’Italia.
Non sono sani i salti nel vuoto, ma si deve saper saltare dall’ora al poi. Per cui è dilettevole esercitarsi su chi andrà a ricoprire questo o quel ruolo, come anche sul colore delle future coalizioni che reggeranno i futuri governi, ma a quel gioco è escluso che possa accedere chi supponga d’utilizzare la roncola per spezzare il ramo che ci tiene sull’albero dell’Unione europea e nel nido dell’Unione monetaria europea. Tacerlo non sarebbe pudica omissione, ma disonesta circonvenzione.
di Davide Giacalone
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Tag: politica
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