Sbagliato sfoltire i parrucchieri
Ci risiamo. Ogni volta che un settore soffre, la nostra politica reagisce sempre alla solita maniera: invece di rimuovere gli ostacoli, li moltiplica. Ora tocca ai parrucchieri, ai barbieri, agli acconciatori
Sbagliato sfoltire i parrucchieri
Ci risiamo. Ogni volta che un settore soffre, la nostra politica reagisce sempre alla solita maniera: invece di rimuovere gli ostacoli, li moltiplica. Ora tocca ai parrucchieri, ai barbieri, agli acconciatori
Sbagliato sfoltire i parrucchieri
Ci risiamo. Ogni volta che un settore soffre, la nostra politica reagisce sempre alla solita maniera: invece di rimuovere gli ostacoli, li moltiplica. Ora tocca ai parrucchieri, ai barbieri, agli acconciatori
Ci risiamo. Ogni volta che un settore soffre, la nostra politica reagisce sempre alla solita maniera: invece di rimuovere gli ostacoli, li moltiplica; invece di liberare nuove energie, le incatena. Ora tocca ai parrucchieri, ai barbieri, agli acconciatori. Categorie che, secondo una proposta di legge della Lega, dovrebbero essere protette stabilendo un numero massimo di abilitazioni per ogni Comune. Tradotto: se nel tuo Paese ci sono troppi parrucchieri, lo Stato ti dirà che non puoi diventarlo. Non importa se sei bravo, innovativo o disposto a investire. Il tuo destino dipenderà da una tabella ministeriale.
Firmato dal capogruppo Riccardo Molinari e altri deputati leghisti, il testo segna un ritorno al vecchio corporativismo, mascherato dal linguaggio moderno della “Programmazione territoriale”. Secondo la proposta, il ministro delle Imprese e del Made in Italy dovrebbe adottare un Piano nazionale di riduzione del numero di esercenti, prevedendo addirittura incentivi alla cessazione volontaria dell’attività e la sospensione delle nuove abilitazioni nei Comuni saturi. In sostanza, si vuole premiare chi chiude e scoraggiare chi apre.
Sulla carta la motivazione ufficiale è nobile, finché si limita a voler tutelare la concorrenza leale e migliorare la qualità del servizio. Ma la concorrenza non si tutela limitandola. Sarebbe come voler proteggere la libertà di stampa chiudendo i giornali in eccesso. Se ci sono troppi saloni, sarà il mercato a deciderne il destino, non un decreto ministeriale. Chi non regge la concorrenza chiude, chi si innova sopravvive. Chiaro? È così che funziona l’economia libera, almeno da qualche secolo a questa parte.
In Italia operano circa 90mila saloni, ognuno dei quali serve in media 650 persone. Numeri che raccontano un settore vivo, diffuso, fatto di piccole imprese familiari. C’è poi chi sussurra che dietro questa trovata ci sia un’altra ragione, meno dichiarata e più scomoda: rallentare l’espansione del mercato dei barbieri e parrucchieri gestiti da ragazzi provenienti da altri Paesi. Nel Nord Italia oggi un artigiano su due è straniero e nel settore dell’acconciatura la quota sale al 54% (dati: Fondazione Ismu). Alcuni dicono che l’obiettivo reale sia quello di tenere alta la tensione tra chi lavora e viene da fuori e chi vorrebbe aprire ma non può farlo.
Un modo come un altro per alimentare l’eterna favola del “Ci rubano il lavoro”. Non voglio pensare che un provvedimento economico venga concepito per strizzare l’occhio a un facile malcontento. Anche perché – diciamocelo seriamente – meno male che lavorano: è l’unico modo per non trasformare un problema economico in uno sociale.
La proposta prevede inoltre di inasprire le sanzioni – da 5mila a 50mila euro – per chi lavora violando le nuove regole. Anche qui il messaggio è più che chiaro: «Non ti aiutiamo a lavorare, ti puniamo se ci provi». E succede pure questo. Mentre da una parte la politica parla di semplificare, digitalizzare e favorire l’autoimprenditorialità giovanile, dall’altra propone misure che vanno nella direzione opposta. L’obiettivo dichiarato è regolare il mercato, ma dietro c’è la solita paura di lasciarlo funzionare davvero. Eppure il mercato, anche con i suoi difetti, è sempre più efficiente di qualsiasi piano nazionale proprio perché premia la competenza e non il consenso.
Ogni giovane che sogna di aprire un salone e si sentirà dire «Non puoi, siamo al completo» capirà che non è la crisi a fermarlo, ma lo Stato. E questo è il contrario dell’economia sociale di mercato di cui tanto si parla e che così poco si pratica.
di Matteo Grossi
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