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Senza parole (italiane e non)

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In un Paese che ha bisogno come l’aria di più internazionalizzazione si lanciano crociate (inutili) sulla difesa della lingua italiana

Senza parole (italiane e non)

In un Paese che ha bisogno come l’aria di più internazionalizzazione si lanciano crociate (inutili) sulla difesa della lingua italiana
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Senza parole (italiane e non)

In un Paese che ha bisogno come l’aria di più internazionalizzazione si lanciano crociate (inutili) sulla difesa della lingua italiana
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Il sovranismo ha un suo fascino comprensibile, un po’ quello della copertina nelle serate d’inverno sul divano. Il tepore del familiare, contrapposto al “brivido“ del nuovo e dell’ignoto. È un rifugiarsi, in fin dei conti, in un passato ovviamente più idealizzato che reale, provando a evitare di fare i conti con un mondo in tumultuosa evoluzione. Non è faccenda solo italiana, come ben noto e dimostrato anche dal successo elettorale sovranista solo di 24 ore fa in Finlandia. Da noi, però, il fenomeno ogni tanto assume contorni grotteschi: è il caso della proposta di legge del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli per la difesa della lingua italiana. Nell’idea rampelliana, il nobile principio della tutela dell’italiano è accompagnato da un quadro sanzionatorio fino a 100.000 € per chi, nella pubblica amministrazione e negli enti privati, dovesse far ricorso a lingue straniere – l’inglese, suvvia – in luogo dell’idioma patrio. Negli ultimi giorni si sono sprecate le ironie, così come i tentativi di spiegare il perché e il percome, in una maggioranza che ha dato vita appena pochi mesi fa al Ministero del “Made in Italy” (ops). Senza sconvolgere nessuno. Il problema non è la più che condivisibile critica per la scelta di utilizzare l’inglese quando assolutamente non necessario, ma pretendere di normare persino questo, lì dove sarebbe più che sufficiente un puntuale richiamo dell’Accademia della Crusca e un appello a conoscerlo e praticarlo sul serio l’italiano, senza difenderlo per legge. Un atteggiamento tanto arcigno quanto inutile, che sembra fatto apposta per alienare comprensione e simpatia, soprattutto nei più giovani. Fra quelle ragazze e quei ragazzi che ormai vivono l’inglese come una seconda pelle, necessaria a vivere il loro mondo. Il nostro mondo. In un Paese in piena convulsione per i ritardi potenzialmente suicidi nella realizzazione del Pnrr, anche perché – narrano le cronache da Bruxelles – troppi nostri funzionari si presentano sprovvisti anche dell’inglese base e accompagnati da interpreti che rendono farraginoso e lento ogni colloquio, ci facciamo venire idee del genere. In un Paese che ha bisogno come l’aria di più internazionalizzazione, per favorire un comparto produttivo straordinariamente efficace nell’occupare fette di mercato in ogni angolo del globo, stiamo qui a lanciare crociate non si capisce in difesa di chi o di cosa. Si vogliono difendere le tradizioni e la storia e poi quest’ultima la si prende a ceffoni da mesi, tirandola di qua e di là per consumare qualche ripicca dialettica. Studiamo e pratichiamo, piuttosto: a cominciare da quella lingua meravigliosa, viva e in continua evoluzione che è l’italiano. Per meglio resistere all’uso dei termini stranieri quando inutile e trovare le parole davanti a idee come questa. Di Fulvio Giuliani

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