Solite ipocrisie
Anche il caso Santanchè dimostra tutta la sua schizofrenica contraddittorietà con cui ci affrontano, da sempre, casi simili in Italia
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Solite ipocrisie
Anche il caso Santanchè dimostra tutta la sua schizofrenica contraddittorietà con cui ci affrontano, da sempre, casi simili in Italia
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Solite ipocrisie
Anche il caso Santanchè dimostra tutta la sua schizofrenica contraddittorietà con cui ci affrontano, da sempre, casi simili in Italia
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Anche il caso Santanchè dimostra tutta la sua schizofrenica contraddittorietà con cui ci affrontano, da sempre, casi simili in Italia
Come quasi sempre accade nelle vicende che intersecano giustizia, politica e chiacchiericcio mediatico, anche il caso Santanchè dimostra tutta la schizofrenica contraddittorietà di quel certo andazzo con cui si affrontano queste situazioni in Italia. Prendi il dibattito parlamentare scaturito dall’intervento in Senato del ministro del Turismo per dire la sua sullo scandalo in cui è coinvolto: ci eravamo arrivati dopo giorni di indignazione collettiva mescolata ad annunci solenni di voler rispettare il principio di legalità e a frasi come «I processi si fanno in tribunale, ma…». Ecco, in quel “ma” c’è tutta l’ipocrisia che intride qualunque dibattito di questo tipo. Quella stessa ipocrisia che autorizza a condurre un’intera discussione fra senatori e ministri parlando di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta come fossero elementi assodati e già definiti da un giudizio, magari trincerandosi dietro una locuzione buona per tutte le stagioni: «È anzitutto una questione politica». Lo sarà pure, ma sarebbe opportuno e auspicabile che il Parlamento e i partiti non si sostituissero agli inquirenti scandagliando ogni presunto indizio di un’indagine preliminare, per giunta non ancora conclusa.
All’incoerenza del quadro va aggiunto un tassello: in Senato il ministro Santanchè ha ripetutamente sottolineato di non aver mai ricevuto un avviso di garanzia. A parte il fatto che si può benissimo essere oggetto di indagine da parte della magistratura senza saperlo, almeno finché non si renda necessario il compimento di un atto che richieda la presenza dell’avvocato difensore. E tralasciando che si potrebbe perfino arrivare alla conclusione di un’intera inchiesta nei propri confronti, senza che questa abbia convinto il giudice a rinviare a giudizio. Ma in questo caso la confusione – involontaria o strumentale che sia stata, non sta a noi stabilirlo – rischia di fuorviare il cittadino, chiamato a farsi un’opinione senza poter contare su informazioni corrette e dunque costretto ad appiattirsi supinamente su questo o quel messaggio sostenuto dalla sua forza politica di riferimento. Male, molto male.
Ultima tessera del mosaico: scavando (e neanche troppo), si è capito che il ministro Santanchè era effettivamente iscritto nel registro degli indagati per falso in bilancio e concorso in bancarotta dal settembre 2022. Poi, per questioni procedurali, è da marzo di quest’anno che nei cassetti del gip di Milano giace la richiesta di proroga delle indagini da parte della Procura. Un atto che va obbligatoriamente comunicato all’indagato, che a quel punto viene messo al corrente dell’indagine nei suoi confronti. Non sarebbe un dettaglio da poco sapere perché sono dovuti passare quattro mesi.
Di Valentino Maimone
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