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Università

Studiorum, annunci e rinvii

È evidente che università tradizionali e università telematiche non siano la stessa cosa e, quindi, non possano avere regole uguali. Ma sono errori sia generalizzare che coartare
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Studiorum, annunci e rinvii

È evidente che università tradizionali e università telematiche non siano la stessa cosa e, quindi, non possano avere regole uguali. Ma sono errori sia generalizzare che coartare
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È evidente che università tradizionali e università telematiche non siano la stessa cosa e, quindi, non possano avere regole uguali. Ma sono errori sia generalizzare che coartare
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È evidente che università tradizionali e università telematiche non siano la stessa cosa e, quindi, non possano avere regole uguali. Ma sono errori sia generalizzare che coartare
Annunci e proroghe non sono una politica, semmai la sua negazione. E quando si entra nel mondo dell’istruzione non avere una politica significa non avere un’idea del futuro e non usare gli strumenti per realizzarla.

È evidente che università tradizionali e università telematiche non siano la stessa cosa e, quindi, non possano avere regole uguali. Una cosa è tenere una lezione in aula, sicché chi c’è c’è e chi non c’è se la perde, un’altra tenere una lezione parlando da un computer, nel qual caso si può registrarla e metterla a disposizione su una piattaforma, talché chi non c’è possa ascoltarla con comodo. Ma sono errori sia generalizzare che coartare. È sbagliato pensare che tutte le università siano uguali ed è sbagliato supporre che la qualità delle università in presenza sia di per sé superiore a quella delle università da remoto. Non di meno sappiamo che troppi corsi, dell’uno e dell’altro tipo, sono dei diplomifici. Nel primo caso incentivati dal fatto che si misura la produttività non con la preparazione data agli studenti, ma con le lauree che si consegnano. Nel secondo caso incentivati da non pochi dipendenti pubblici che cercano il pezzo di carta per aumentare di grado e stipendio. Non ha senso pensare che tutti debbano seguire la medesima regola, tanto che – giunti alle soglie del doverla adottare – si presenta un emendamento al decreto Milleproroghe (la cui stessa esistenza è un fallimento nazionale) e si allunga la palla verso un futuro incognito.

La soluzione decente è una sola: cancellare il valore legale del titolo di studio e rinunciare al ridicolo dogma secondo cui due diplomi di laurea sono uguali per contenuti ed effetti. Se si vuole pluralismo e concorrenza quella è la strada, altrimenti si resta sui binari dello statalismo omogeneizzante. Salvo continuare a rinviare.

Il fatto che soltanto 375 studenti abbiano scelto di iscriversi alla scuola superiore intitolata al Made in Italy non segnala che vi sia scarso interesse, ma che non si è capito a cosa ci si dovrebbe interessare. L’annuncio era chiaro e chiassoso, la sostanza è rimasta fumosa e pochi hanno ritenuto di attraversare la cortina.

Il compito di chi legifera e governa non è enunciare i risultati che si intendono ottenere, perché a quello già provvedono i concorsi di bellezza e i relativi proclami per la pace nel mondo. Il compito è quello di attrezzare gli strumenti, diffonderne la conoscenza e convincere dell’efficacia. All’evidenza non ci si è riusciti.

Interessante avere aggiunto il “merito” alla denominazione del Ministero, ma si è tralasciato il tema più rilevante: l’istruzione. Rendendo immaginario il merito.

di Davide Giacalone

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