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Trentennio

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Silvio Berlusconi non ha subìto un trentennale processo, ma un trentennio di procedimenti penali i più diversi e avviati in tempi distanti gli uni dagli altri

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Silvio Berlusconi non ha subìto un trentennale processo, ma un trentennio di procedimenti penali i più diversi e avviati in tempi distanti gli uni dagli altri

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Silvio Berlusconi non ha subìto un trentennale processo, ma un trentennio di procedimenti penali i più diversi e avviati in tempi distanti gli uni dagli altri

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Da garantista che sa di non avere nessuna alternativa al credere nella giustizia, avrei una supplica da rivolgere al sindacato dei magistrati, la loro Associazione nazionale: evitate quel che avvicina al profilo del politicante televisivo, bisognoso di parlare più velocemente di quel che serve a pensare. Si possono sostenere tesi diverse, senza per questo far torto alla realtà.

Sicché smettiamola di dire che Silvio Berlusconi ha subìto sì un processo durato un trentennio ma alla fine ha avuto giustizia, perché è falsa sia la prima che la seconda cosa. E smettiamola di far credere che il problema riguardi solo quell’imputato eterno, perché travolge decine di migliaia di persone.

Tanta parte di un dibattito pubblico distorto è responsabilità del mondo dell’informazione, a partire dalla continua e zotica confusione fra l’accusa e la giustizia e per finire con la replica alla replica fatta dal presidente dell’Anm alle osservazioni di Marina Berlusconi, come se toccasse al capo sindacale ‘ammettere’ che il procedimento è stato lento.

Il funzionamento della giustizia non è roba privata dei magistrati e la lentezza – incivile e ripetutamente condannata dalle Corti internazionali – è una piaga che toglie senso alla giustizia, ma non una cosa che dipenda dai soli magistrati. Molto, ad esempio, dipende dall’insana strutturazione della legge, che consente all’accusa o al giudicante per le motivazioni di sforare i tempi previsti dal codice.

Epperò non è soltanto quello, il problema. Silvio Berlusconi non ha subìto un trentennale processo, ma un trentennio di procedimenti penali i più diversi e avviati in tempi distanti gli uni dagli altri. Il che non porta a ragionare sui tempi della giustizia, ma sull’irresponsabilità dell’accusa.

E sarà il caso di ricordare che di quella gragnola di procedimenti solo in un caso si è giunti alla condanna, per evasione fiscale, e che in quel caso si volle usare la sessione estiva della Corte di cassazione, salvo poi la sezione competente scrivere successivamente – in una sentenza, non in un pensierino della sera – che quella condanna era da considerarsi difforme e distante dalla giurisprudenza consolidata.

Non era un problema di tempi, ma di sostanza. Né si può dire che, avendo di recente una sentenza escluso che nell’allora Fininvest si siano riciclati soldi mafiosi, colui che divenne imputato per professione abbia avuto giustizia. Perché è morto. O pensano di amministrare anche la giustizia con giurisdizione nell’aldilà?

Quella patologia giudiziaria – che ha alimentato carriere togate, giornalistiche e politiche – esiste perché parte da un presupposto largamente immorale e di suo negatore di ogni giustizia: la verità storica viene scoperta dalle indagini, le quali poi devono subire il contraddittorio nel processo, il supplizio dei ‘cavilli’ e spesso s’arenano nel nulla del tempo perso.

Un presupposto che finge d’ignorare che se le carte dell’accusa sono forti e le prove reggono non c’è difesa di prestigio che sia in grado d’evitare la giusta condanna; quando però le carte dell’accusa non reggono il confronto e le prove sono indizi mal interpretati se non prove a discarico occultate (capita anche questo), allora la via più semplice non è spingere il giudizio ma lasciarlo marinare fino a intervenuta prescrizione, a quel punto contando sulla non insoddisfazione delle difese e potendo allargare le braccia e dire: avevamo la verità, ma scadde.

Nulla di tutto questo sarebbe mai stato possibile senza la complicità dell’informazione, che ha raccontato le prescrizioni come vittoria dei colpevoli, laddove sono delle pesanti dimostrazioni dell’incapacità e inconsistenza dell’accusa.

Questa roba, però, non è sepolta con Silvio Berlusconi. Che sarebbe triste, ma pur sempre definitivo. Questa roba vive ogni giorno nei tribunali italiani, ove è sufficiente mettere piede – sia pure per una causa civile sulle piante del pianerottolo – per accorgersi di quanto sia surreale gran parte del dibattito pubblico.

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