Università e politica in Italia: una liaison ancora lontana
| Politica
L’Università italiana è ancora strozzata da due macro problemi: la sua scarsa attrattività e la sua difficoltà nel formare la nuova classe dirigente. Ma la politica italiana non sembra interessata a risolverli.

Università e politica in Italia: una liaison ancora lontana
L’Università italiana è ancora strozzata da due macro problemi: la sua scarsa attrattività e la sua difficoltà nel formare la nuova classe dirigente. Ma la politica italiana non sembra interessata a risolverli.
| Politica
Università e politica in Italia: una liaison ancora lontana
L’Università italiana è ancora strozzata da due macro problemi: la sua scarsa attrattività e la sua difficoltà nel formare la nuova classe dirigente. Ma la politica italiana non sembra interessata a risolverli.
| Politica
C’è chi promette una massiccia immissione in ruolo di docenti precari, chi un robusto rafforzamento dell’alta formazione tecnico-scientifica e chi cospicui investimenti per la realizzazione di residenze universitarie. Con l’avvicinarsi delle elezioni non c’è forza politica che non dica la sua anche su un terreno nevralgico e strategico come quello dell’università.
Ma l’impressione è che ancora una volta si ragioni sulla base di facili slogan, ripetuti senza neanche troppa convinzione di elezione in elezione, senza riuscire a formulare proposte concrete per affrontare i due principali problemi che strozzano oggi l’università italiana: la sua scarsa attrattività per coloro che ci lavorano e la sua sempre più marcata difficoltà nel formare una nuova classe dirigente, selezionata in base al merito e capace di affrontare in maniera seria, responsabile e – perché no – anche visionaria la complessità dei problemi che abbiamo di fronte.
Cominciamo con il gap di attrattività, e con alcuni dati oggettivi ricavabili da una ricerca diffusa nei giorni scorsi dalla CRUI (la Conferenza dei rettori delle Università italiane). Negli ultimi dieci anni i docenti under 40 in Italia sono diminuiti del 33%. Un ricercatore senior da noi guadagna mediamente l’86% meno di un suo collega bavarese, il 74% meno di un inglese e il 49% meno di un ricercatore francese. Nelle nostre università c’è in media un docente ogni 33 studenti, a fronte di un docente ogni 20 studenti in Francia e uno ogni 12 nel Regno Unito e in Germania. L’Italia è una grande esportatrice di ricercatori e di talenti (come l’India, per avere un termine di paragone), ma fa fatica ad attrarre giovani studiosi stranieri interessati a fare ricerca nelle università italiane.
Ma anche con gli italiani non va meglio. Si ha notizia di concorsi banditi e andati deserti (non si presenta nessuno…) e di giovani talenti che rifiutano di concorrere per un dottorato di ricerca per il semplice motivo che in una città come Milano, ad esempio, la borsa di dottorato è poco più del costo mensile per l’affitto di un bilocale in una zona neanche troppo centrale. Solo una questione di soldi? Affatto.
La scarsità di investimenti sull’Università e sulla ricerca è il sintomo più evidente del peso assolutamente marginale e trascurabile che tutte le forze politiche che negli ultimi decenni hanno governato il paese hanno attribuito e attribuiscono alla formazione delle giovani generazioni. È una questione di visione. Da noi il merito non viene riconosciuto, le carriere sono irretite in pastoie burocratiche sempre più soffocanti e i processi di valutazione della qualità sono attuati sotto il segno di un rigido formalismo, più attento al rispetto delle procedure e dei protocolli ministeriali che ai risultati concreti della ricerca.
Per non parlare della ormai cronica sottovalutazione della didattica: oggi per accedere ai ruoli della docenza conta soprattutto aver pubblicato qualche articolo sulle riviste (cosiddette) di Fascia A, che sono una grande palestra di conformismo accademico e di omaggio alle auctoritates dominanti. Se poi in aula sei un disastro e non sai come trasmetterlo, il sapere, poco importa. Sessant’anni fa Pasolini faceva dire al personaggio di un suo film che «siamo il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante d’Europa». Ora è perfino peggio di allora.
E le responsabilità del degrado – nonostante le reiterate promesse elettorali – sono sotto gli occhi di tutti.
di Gianni Canova – Rettore Università IULM
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
-
Tag: Evidenza, università
Leggi anche

Riarmo occidentale
09 Maggio 2025
È infantile odiare le armi, il riarmo, ma apprezzare la tranquillità quotidiana, l’assenza di gu…

L’Europa rinasce a Kyiv
09 Maggio 2025
“L’Europa rinasce a Kyiv”, l’iniziativa di Europa Radicale direttamente dalla Piazza dell’Indipe…

Giorgia Meloni e la ricandidatura. Fra regole e suggestioni
07 Maggio 2025
Giorgia Meloni, nell’intervista di qualche giorno fa all’agenzia Adnkronos, ha annunciato di vol…

Referendum sia, sperando di non raggiungere il quorum
03 Maggio 2025
Il selfie di Maurizio Landini per invitare a votare ai referendum del prossimo giugno è un signi…
Iscriviti alla newsletter de
La Ragione
Il meglio della settimana, scelto dalla redazione: articoli, video e podcast per rimanere sempre informato.