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Uno scandalo di solo fumo

Uno scandalo di solo fumo

Nel 1868, a Firenze, il ministro delle Finanze Luigi Guglielmo decide di appaltare la Regìa dei Tabacchi alla Società Generale del Credito Mobiliare. Un’operazione definita necessaria ma che nascondeva ben altri intenti.
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Uno scandalo di solo fumo

Nel 1868, a Firenze, il ministro delle Finanze Luigi Guglielmo decide di appaltare la Regìa dei Tabacchi alla Società Generale del Credito Mobiliare. Un’operazione definita necessaria ma che nascondeva ben altri intenti.
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Uno scandalo di solo fumo

Nel 1868, a Firenze, il ministro delle Finanze Luigi Guglielmo decide di appaltare la Regìa dei Tabacchi alla Società Generale del Credito Mobiliare. Un’operazione definita necessaria ma che nascondeva ben altri intenti.
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Nel 1868, a Firenze, il ministro delle Finanze Luigi Guglielmo decide di appaltare la Regìa dei Tabacchi alla Società Generale del Credito Mobiliare. Un’operazione definita necessaria ma che nascondeva ben altri intenti.
Firenze, 1868. Il gabinetto del presidente del Consiglio Luigi Federico Menabrea si dibatte in una difficile situazione finanziaria. Il debito pubblico ereditato dagli Stati preunitari e la costosissima guerra di due anni prima all’Austria (conclusasi con l’annessione del Veneto) hanno prosciugato quasi del tutto le casse del nuovo Regno. Il disavanzo pubblico è tale che nessun banchiere italiano e straniero intende concedere nuovi prestiti. Dopo aver venduto i beni ecclesiastici, il ministro delle Finanze Luigi Guglielmo conte di Cambray-Digny decide così di appaltare la Regìa dei Tabacchi alla Società Generale del Credito Mobiliare, un consorzio di imprenditori e istituti di credito inglesi e tedeschi riuniti intorno al banchiere Domenico Balduino. L’operazione viene contrabbandata come una “riforma” necessaria per il risanamento e la razionalizzazione di un’azienda segnata da sprechi, inefficienze e sacche di parassitismo. Ma che in realtà questo sia solo un pretesto per la svendita al capitale privato di un settore quanto mai redditizio lo si capisce non appena vengono rese note le condizioni contenute nella convenzione-capestro: il monopolio dei tabacchi verrà gestito per quindici anni da una società anonima in cambio di un’anticipazione di 180 milioni di lire-oro. Un affarone. Nell’accordo è previsto che lo Stato consegni alla società di Balduino gli immobili, le macchine e gli utensili della Regìa dei Tabacchi nonché la materia prima non ancora lavorata. Il Regno si accolla inoltre le spese per la ristrutturazione degli stabilimenti di Firenze e gli interessi al 6% sul capitale di 50 milioni impegnato nell’impresa. Così concepita e realizzata, l’operazione scatena la vivace opposizione dei deputati della sinistra e desta forti perplessità in molti settori della maggioranza. Eppure alla Camera, convocata il 4 giugno 1869 per la necessaria ratifica, il governo riesce a spuntarla dopo una movimentata seduta durata quattro giorni: a fare la differenza è soprattutto la minaccia di una crisi ministeriale in caso di bocciatura della convenzione. Gli animi restano tuttavia accesi, tanto che per protesta si dimette lo stesso presidente della Camera Giovanni Lanza, intervenuto nel dibattito come semplice deputato per criticare la svendita («I monopoli o bisogna sopprimerli o che li tenga il governo»). In tutto il Regno si respira aria di scandalo. Cresce infatti il sospetto che la stipula dell’accordo sia stata facilitata da consistenti “zuccherini” (così a quel tempo venivano chiamate le tangenti) elargiti a diversi uomini del governo e della maggioranza. Il Paese intero chiede che sull’affaire venga fatta finalmente chiarezza. La proposta di una commissione d’inchiesta parlamentare, avanzata dal deputato dell’estrema sinistra Giuseppe Ferrari, viene però bocciata. Tutto finito? Macché. Il giorno dopo ecco prodursi, inaspettato, un clamoroso colpo di scena. Il deputato Cristiano Lobbia – uomo integerrimo ed ex alto ufficiale dell’esercito (ha anche combattuto in Sicilia insieme a Garibaldi) – chiede di intervenire sul verbale della seduta precedente e stringendo in mano alcuni plichi spiega che contengono dichiarazioni di testimoni, legalizzate da pubblico notaio, che proverebbero l’illecito arricchimento di un collega. Scoppia il finimondo: scambi di insulti, minacce, persino pugni tra deputati a stento divisi dai questori. A quel punto neppure un estemporaneo intervento di Menabrea riesce a evitare che la commissione venga finalmente istituita e che a farne parte siano nove autorevolissimi personaggi al di sopra di ogni sospetto. Passano pochi giorni e il caso politico tracima addirittura nella cronaca nera. La notte del 15 giugno Lobbia viene aggredito in via dell’Amorino da uno sconosciuto che riesce a pugnalarlo due volte e che senz’altro lo finirebbe se il deputato non riuscisse a estrarre la sua pistola e a far fuoco, mettendo così in fuga il sicario. L’agguato suscita un’impressione enorme e in diverse città scoppiano tumulti. Tra i messaggi di solidarietà che a migliaia giungono al ferito vi è pure quello dello stesso Garibaldi. I lavori della Commissione parlamentare, iniziati il giorno dopo l’imboscata, si concluderanno il 12 luglio con un sostanziale nulla di fatto. Un esito prevedibile a seguito dell’apertura dei famosi plichi: non apportando elementi di prova all’inchiesta, si limitano a coordinare diverse testimonianze relative ai tanti “si dice” da tempo mormorati. Lo scandalo della Regìa dei Tabacchi finisce così in fumo e la società del banchiere Balduino potrà continuare ad arricchirsi fino al 1882, quando il governo si decide per il ritorno al monopolio di Stato. A rimetterci nel frattempo saranno stati i contribuenti-consumatori, costretti ad acquistare prodotti sempre più cari e scadenti. Memorabili restano le denunce in quegli anni dello scrittore Carlo Collodi, che dalle colonne dei giornali satirici fiorentini rivelava la presenza nei suoi sigari di foglie di castagno e addirittura di capelli. di Vittorio Pezzuto  

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