Urge pensare alla Riforma Giustizia
Il 12 giugno gli italiani saranno chiamati a tornare alle urne per votare il referendum sulla Giustizia. L’Italia necessita di riforme, lo ribadì Craxi già nel ’92 e Pannella dopo di lui.
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Il 12 giugno gli italiani saranno chiamati a tornare alle urne per votare il referendum sulla Giustizia. L’Italia necessita di riforme, lo ribadì Craxi già nel ’92 e Pannella dopo di lui.
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Il 12 giugno gli italiani saranno chiamati a tornare alle urne per votare il referendum sulla Giustizia. L’Italia necessita di riforme, lo ribadì Craxi già nel ’92 e Pannella dopo di lui.
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Il 12 giugno gli italiani saranno chiamati a tornare alle urne per votare il referendum sulla Giustizia. L’Italia necessita di riforme, lo ribadì Craxi già nel ’92 e Pannella dopo di lui.
Mi pongo una domanda, da cittadino di questa nostra Repubblica. Sì, ammettiamolo, abbiamo non pochi difetti. Non siamo esemplari dal punto di vista morale, dell’etica comune, dei comportamenti civili. C’è corruzione, criminalità, ma questo è un male molto diffuso anche in tante altre parti del mondo.
Per stare alla stretta attualità, l’Unione Sovietica faceva pena. Entrai nel 1989 nei cantieri di Danzica per intervistare il leader di Solidarnosc, Lech Walesa, e mi fu consigliato di portare un cadeau alla guardia all’ingresso. Pensai a dollari, in realtà bastò una bottiglia di pessima vodka da mezzo litro. Poi sono arrivati Eltsin, le mafie che hanno fatto i soldi con le miniere, le aziende nazionalizzate, il prezioso e unico ferrovanadio. Anna Politovskaja ci ha raccontato tutto nel suo saggio-denuncia “La Russia di Putin”. L’hanno assassinata. Come da noi, del resto, Falcone, Borsellino, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Mattarella: l’elenco è lungo e fa male. Ma siamo comunque una democrazia, un Paese in cui un professore, presunto tale, incassa fior di soldi per dire scempiaggini e noi lo stiamo a sentire.
Abbiamo necessità di riforme. Nel 1980, a Milano in Piazza Castello, il leader del Psi Bettino Craxi predicava l’ineludibile urgenza di una Grande riforma. Lo ribadì nel luglio 1992, l’inizio della fine. Non fu ascoltato. C’era un uomo folle, utopistico, geniale: Marco Pannella. Dopo l’oscenità del caso Tortora (innocente, pulito, onesto, coraggioso, ucciso anzitempo dal cancro della giustizia) decide di andare di referendum.
Novembre 1987: abolizione della commissione inquirente e soprattutto delle norme che limitavano ai soli casi di dolo la responsabilità civile dei magistrati (ipotesi peraltro mai verificatasi). Affluenza del 65,1%, vincono i Sì con l’80,2% ma non se ne fa nulla: al Parlamento, per disinnescare la bomba, è sufficiente approvare una legge che di fatto renderà impossibile rivalersi direttamente sul magistrato in caso di colpa grave. Giugno 1997: referendum sulla separazione della carriera di pubblico ministero da quella di giudice. Vincono i Sì (83,6%) ma il quorum non viene raggiunto, dopo una campagna furibonda da parte delle toghe e dei loro tremebondi sponsor politici. Maggio 2000: referendum sull’abrogazione del sistema elettorale (proporzionale, a liste concorrenti) per i membri togati del Csm, quello che di fatto crea i partiti interni alla magistratura. Vincono i Sì (70,6%) ma il quorum non viene raggiunto.
I Tribunali e le Corti d’Assise pronunciano l’orazione sacra prima del verdetto: «In nome del popolo italiano». Il 12 giugno 2022 torneremo alle urne anche per dire la nostra sulle carriere dei magistrati. Sono pessimista: perché da noi, vedete, le riforme della giustizia non sono concepite per il popolo italiano ma per i giustizieri.
di Andrea Pamparana
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