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Il fallimento del vaccino cinese e dell’autarchia

Nonostante le smentite di orgoglio da parte di Pechino, le dichiarazioni ufficiose parlano di una corsa sfrenata all’accaparramento dell’occidentalissimo vaccino Pfizer. Un fallimento per il vaccino cinese e per l’autarchia
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Il fallimento del vaccino cinese e dell’autarchia

Nonostante le smentite di orgoglio da parte di Pechino, le dichiarazioni ufficiose parlano di una corsa sfrenata all’accaparramento dell’occidentalissimo vaccino Pfizer. Un fallimento per il vaccino cinese e per l’autarchia
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Il fallimento del vaccino cinese e dell’autarchia

Nonostante le smentite di orgoglio da parte di Pechino, le dichiarazioni ufficiose parlano di una corsa sfrenata all’accaparramento dell’occidentalissimo vaccino Pfizer. Un fallimento per il vaccino cinese e per l’autarchia
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Nonostante le smentite di orgoglio da parte di Pechino, le dichiarazioni ufficiose parlano di una corsa sfrenata all’accaparramento dell’occidentalissimo vaccino Pfizer. Un fallimento per il vaccino cinese e per l’autarchia
Pechino ha rifiutato l’offerta dell’Unione europea di abbondanti forniture di vaccini occidentali. Un No ufficiale, più rabbioso che orgoglioso, clamorosamente smentito dalle cronache rigorosamente ufficiose che narrano di vere e proprie corse all’accaparramento dell’occidentalissimo vaccino Pfizer a migliaia di dollari alla dose. Per chi può permetterselo, ovvio, fra uomini di partito e ricchi imprenditori. Un clamoroso fallimento del vaccino cinese (dove sono oggi i tifosi italiani di un anno e mezzo fa?) e di sistema, che segue l’altrettanto spettacolare dietrofront del leader supremo Xi Jinping, passato in un amen dalla disastrosa politica “zero Covid” a un “liberi tutti” se possibile persino peggiore. Singolare e istruttiva mossa, quella del dittatore cinese, che pur di non esasperare oltre misura l’opinione pubblica (sì, esiste un’opinione pubblica anche in dittatura) ha sconfessato sé stesso e mesi di narrazione. La Cina che risponde picche all’Ue sui vaccini è la fotografia del dragone che continua la sua cocciuta sfida all’Occidente, convinto di poter forzare le democrazie a inseguirlo perennemente sulla propria strada. Solo che non sta andando affatto in questo modo, almeno dallo scoppio della pandemia a oggi. Proprio le caratteristiche che i tanti tifosi anche di casa nostra delle “democrature” sostenevano essere i punti di forza dei regimi – la velocità decisionale, la possibilità di ignorare l’equilibrio fra i poteri, la supremazia degli interessi economici sui diritti civili (bella roba, vero?) – hanno azzoppato il colosso cinese. Ancora una volta, come se non bastassero le clamorose lezioni imposte dalla storia, le tanto vituperate democrazie liberali si sono mostrate molto più efficienti di dittature in perenne sindrome d’assedio. Anche le accuse rivolte all’Occidente, dopo la persino banale decisione di imporre dei tamponi ai passeggeri provenienti dalla Cina, appaiono solo una dimostrazione di debolezza e sono destinate a cadere nel vuoto dello scontato e sacrosanto interesse nazionale di Paesi che hanno molto sofferto a causa della pandemia e non hanno alcuna intenzione di buttare alle ortiche e sull’altare degli interessi cinesi gli straordinari risultati delle campagne vaccinali. È del tutto chiaro, al contempo, che nessuno a Washington o a Bruxelles abbia intenzione di provocare Pechino o inasprire i rapporti – tantomeno con il risultato di avvicinare ulteriormente Xi alla Russia di Vladimir Putin – ma questo non può più significare mostrarsi arrendevoli su nessuno dei dossier aperti fra Occidente e Cina. Dalla cruciale sfida su Taiwan alle odierne tensioni sul Covid, fino alla sfida sull’ambiente, le recenti e dolorosissime esperienze dovrebbero aver definitivamente spianato l’idea che con dittatori e autocrati abbia un qualsiasi valore la politica dell’appeasement. Sul climate change, per esempio, Cina e India hanno indiscutibili ragioni nel ricordare la lunghissima stagione in cui l’Occidente si è arricchito ignorando bellamente il tema ambientale. Potremmo risalire sino alla rivoluzione industriale, se la cosa può far felice Xi Jinping, ma la sostanza non cambia: bisogna agire e farlo ora, prima di essere travolti da fenomeni estremi che stiamo subendo in tutti i Continenti e solo pochi giorni fa hanno sommerso gli Stati Uniti sotto 6 metri di neve mentre da noi si facevano i bagni a Capodanno. Non sarà facile e non sarà veloce, ma bisogna aiutare i cinesi – anche con la necessaria fermezza, quando necessario – a capire che il modello vincente è il nostro. Storia e dati di fatto alla mano. Quanto a collaborare, a noi conviene senza dubbio e tutto possiamo augurarci tranne un collasso della “fabbrica del mondo” a causa delle folli scelte sul Covid. A loro, ancor di più, perché da soli non funzionano mica troppo bene. Di Fulvio Giuliani

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