Vertigini
| Politica
Nella prima giornata della XIX legislatura di ieri abbiamo assistito ad un ordinario Vietnam politico: lo scontro Berlusconi/La Russa, un ‘pacifico’ Salvini, un’opposizione assente. Le premesse, insomma, sono drammatiche.
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Nella prima giornata della XIX legislatura di ieri abbiamo assistito ad un ordinario Vietnam politico: lo scontro Berlusconi/La Russa, un ‘pacifico’ Salvini, un’opposizione assente. Le premesse, insomma, sono drammatiche.
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Nella prima giornata della XIX legislatura di ieri abbiamo assistito ad un ordinario Vietnam politico: lo scontro Berlusconi/La Russa, un ‘pacifico’ Salvini, un’opposizione assente. Le premesse, insomma, sono drammatiche.
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Il molto alto e il molto basso si sono confrontati ieri, nella prima giornata della XIX legislatura. E non è stato un bello spettacolo. Siamo passati dalla “vertigine“, splendida immagine utilizzata dalla senatrice a vita Liliana Segre per descrivere le emozioni provate a presiedere la seduta inaugurale a Palazzo Madama – lei, cacciata da bambina dalle scuole del regno per l’infamia delle leggi laziali e ritrovatasi sullo scranno più alto del tempio della democrazia – alla vertigine per la distanza abissale fra questi richiami, i severi e sacrosanti ammonimenti di una donna fuori dal comune, con la realtà di una maggioranza che non ha retto neppure un solo giorno.
Si potrà commentare come si vuole la rocambolesca elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, a cominciare dalla sonora sconfitta di Silvio Berlusconi arroccato sui destini che solo ieri definivamo francamente trascurabili di Licia Ronzulli, ma la sostanza resta pur sempre quella di una sconfortante immagine di autoreferenzialità e miopia grave. Liliana Segre ha ricordato a un’Aula in religioso silenzio cosa sia la gravitas della politica. Lo ha fatto con parole limpide e semplici. Tutto il resto è apparso ripicca, sotterfugio, mercanteggiamento.
Con quello che ci aspetta e i problemi da risolvere, come ossessivamente ricordato per tre settimane dal presidente del Consiglio in pectore e leader della sua presunta maggioranza, abbiamo assistito a una giornata di ordinario Vietnam parlamentare. Tutto per un paio di ministeri e il preteso riconoscimento di un peso personale che non c’è più.
Giorgia Meloni potrà anche legittimamente gonfiare il petto, per essere riuscita comunque a far eleggere il suo candidato, ma sa benissimo che è inconcepibile pensare di avviare un’attività di governo degna delle promesse dovendo contrattare ogni singolo provvedimento con un pezzo della propria maggioranza.
Semplicemente così non funziona e non sarà sufficiente il Matteo Salvini in versione paciosa delle ultime ore. La sua soddisfazione per i ministeri in arrivo (Infrastrutture per lui ed Economia per Giancarlo Giorgetti) è la prova che in tutti questi giorni non si è trovato neppure mezzo accordo a tre. Il problema deve risolverlo e in fretta la leader di Fratelli d’Italia, prima di trasformare il successo ieri in una vittoria di Pirro.
Quanto all’opposizione, corsa in soccorso del neo presidente del Senato, non esiste. Ne esistono almeno tre e al momento ciascuna ha il sogno di eliminare l’altra.
di Fulvio Giuliani
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