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Vincitori e vinti pari sono

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Flop referendum – il risultato di anni di non-politica: astensione dilagante, assenza di strategia e tattiche improvvisate.

Vincitori e vinti pari sono

Flop referendum – il risultato di anni di non-politica: astensione dilagante, assenza di strategia e tattiche improvvisate.
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Vincitori e vinti pari sono

Flop referendum – il risultato di anni di non-politica: astensione dilagante, assenza di strategia e tattiche improvvisate.
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Ieri ci siamo dedicati al crollo del referendum, disastro che mette a rischio lo stesso istituto, cui – come scriviamo questa mattina su La Ragione – dobbiamo una buona parte dell’evoluzione della nostra società in senso completamente democratico. Un flop che è l’ultimo tassello di un rosario di disastri partito tanti anni fa, che oggi rischia di spazzar via l’idea stessa di tornare a raccogliere firme. Per farla breve e cruda, il referendum è in stato comatoso, ma anche i partiti non se la passano troppo bene. Vale per chi ha clamorosamente perso, ma anche per chi sostiene di aver vinto. La cosa stupefacente è che nessuno – dicasi nessuno – accetti, se non di fare autocritica, almeno di guardare in faccia la realtà. La Lega ha da tempo un (grande) problema Matteo Salvini, un leader che da tre anni ha smarrito la strada e cerca disperatamente di ritrovare il tocco magico. Quel rapporto privilegiato con l’opinione pubblica che aveva fatto del Carroccio il primo partito d’Italia e il faro europeo dei movimenti populisti. Non ne è rimasto nulla e ormai qualcuno potrebbe risolversi a sfidare il leader che volle il suo nome nel simbolo. Manco fosse Berlusconi. Il Movimento Cinque Stelle si è definitivamente liquefatto, Giuseppe Conte si affanna a spiegare le ragioni della sconfitta, ma il dramma è che nessuno sembra più ascoltarlo. Fratelli d’Italia va più che bene, eppure quello che riesce a fare Giorgia Meloni – abilissima nel gestire l’insolito ruolo di unica oppositrice d’Italia – è invocare l’uscita dal governo dei presunti alleati del presunto centrodestra… siamo a zero. Il Pd andrebbe teoricamente meno peggio di altri, ma sa di avere un alleato designato, il Movimento, così in crisi da essere totalmente imprevedibile. Quanto alla cosiddetta “area centrista” l’unico, reale collante è detestare i Dem. Non un grande viatico. Ecco a voi il risultato di anni di politica-non politica: stanchezza, astensione dilagante (di cui il giorno dopo le elezioni regolarmente non parla più nessuno), assenza di strategia, tattiche improvvisate. Con l’anno che ci aspetta, c’è da dare le testate al muro. Di Fulvio Giuliani 

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