Voto a vuoto
Con gli ultimi voti alle urne gli italiani hanno dimostrato di essere stufi di quella politica becera, fatta di urla e bava alla bocca.
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Con gli ultimi voti alle urne gli italiani hanno dimostrato di essere stufi di quella politica becera, fatta di urla e bava alla bocca.
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Con gli ultimi voti alle urne gli italiani hanno dimostrato di essere stufi di quella politica becera, fatta di urla e bava alla bocca.
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Con gli ultimi voti alle urne gli italiani hanno dimostrato di essere stufi di quella politica becera, fatta di urla e bava alla bocca.
Il centrosinistra ha vinto, il centrodestra ha perso. Sintesi estrema del risultato del ballottaggio di quarantott’ore fa. Ricordato che al primo turno il risultato fu esattamente opposto, da giorni siamo inseguiti da approfondite riflessioni sul destino di questo o quel partito e sulle convulsioni di forze politiche in preda a psicodrammi collettivi. Forse converrebbe accettare una verità difficile e pericolosa, a meno di un anno dalle elezioni politiche: le coalizioni non ci sono più. Sono solo una stanca fantasia, riproposta per inerzia e mancanza di alternative.
Domenica, senza ombra di dubbio, la presunta alleanza di centrodestra ha subìto un pesante rovescio a Verona, Monza e in altri centri. Berlusconi, Salvini e Meloni hanno perso tutti, dopo aver trascorso gli ultimi mesi (potremmo dire gli ultimi anni) a scambiarsi cordiali antipatie e puntuali recriminazioni. A Verona, Salvini e Berlusconi possono dire che a perdere sia stata Giorgia Meloni, che ha visto il “suo” candidato Sboarina battuto da un outsider come l’ex calciatore Damiano Tommasi. Che dire, però, di Silvio Berlusconi che a Monza ha visto trionfare un candidato palesemente sottovalutato, nonostante il suo appoggio al sindaco uscente, il “miracolo” della promozione in serie A dell’ultima creatura calcistica dell’ex cavaliere e l’ennesimo (e stanco) show del ritorno a 48 ore dal voto. Quanto a Salvini, è stato semplicemente assente ingiustificato ai ballottaggi, quasi nascosto a ricercare sé stesso e quel tocco magico che sembra smarrito. Hanno perso, ma tutto quello che si ripete è la solita litania sull’unione e disunione, quando in fin dei conti è tutto molto semplice: i tre non si fidano l’uno dell’altro, non ci credono più.
La crescente astensione non è il frutto di un destino cinico e baro, è la conseguenza anche dei tantissimi elettori di centrodestra che sono rimasti a casa, sfibrati da queste sceneggiate sempre uguali. Rivendicare indispettiti che questo o quel sindaco sia stato eletto solo dal 20 o 25% degli aventi diritto è solo una manifestazione di frustrazione e impotenza. Si fugge dalle urne, del resto, anche fra i sostenitori degli avversari.
Dall’altra parte, fra i peana riservati alla coalizione di centrosinistra, converrebbe ricordare che solo due settimane fa era stato lo stesso leader del Partito democratico Enrico Letta a riconoscere la netta sconfitta al primo turno. Converrebbe mettersi d’accordo con sé stessi: il centrosinistra non esiste, esiste il Pd che può ottenere risultati più o meno lusinghieri a seconda delle diverse realtà locali, del comportamento masochista dell’avversario e naturalmente della forza dei singoli candidati. Il resto non c’è, a meno di voler improvvisamente dimenticare il perdurante shock del M5S e quanto siano trascurabili altri apporti. Al centro, poi, sono molto di più le chiacchiere che i voti.
Eppure non vogliamo certo rassegnarci a una campagna elettorale per le politiche confusa, rissosa e priva di una prospettiva di governo credibile. L’indicazione più saggia è arrivata ancora una volta dagli elettori. Prendiamo l’esempio più importante, Verona: Damiano Tommasi ha vinto approfittando degli errori altrui di cui abbiamo appena scritto, ma il candidato di centrosinistra – da vero underdog – ha anche battuto strade ormai trascurate. Non ha alzato la voce, ha sfruttato le debolezze dell’avversario cavalcandole con intelligenza e senza cercare inutili scontri, ha macinato chilometri e incontrato migliaia di persone. Ha usato i social, ci mancherebbe, ma non si è affidato esclusivamente alla comunicazione online.
Le politiche sono un’altra faccenda – lo sappiamo benissimo – ma che le urla e la bava alla bocca abbiano cominciato a stufare è una speranza che non vogliamo negarci. Come quella di un’idea di politica e di futuro degna dell’Italia che ieri ha perso con Leonardo Del Vecchio uno dei suoi più luminosi interpreti. Lavoro, fantasia, ambizione, abnegazione e visione: prendere appunti con umiltà.
Di Fulvio Giuliani
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