Voto Sì al referendum
Referendum giustizia: l’importanza epocale della riforma del terzo quesito che riguarda la carriera dei magistrati.
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Referendum giustizia: l’importanza epocale della riforma del terzo quesito che riguarda la carriera dei magistrati.
Com’è noto, uno dei testi religiosi antichi più famosi e al tempo stesso inquietanti è “Apocalisse” di Giovanni: criptico, oscuro e connotato da un forte senso profetico. Il libro è scandito da alcuni passaggi simbolici fondamentali, definiti sigilli. Ce ne sono sette. Il terzo è quello che interessa, dal momento che rappresenta un cavaliere misterioso in sella a un destriero nero con una bilancia in mano. Chi non vi vedrebbe l’aulico e sempiterno simbolo della giustizia divina?
Ebbene, mutatis mutandis, anche nelle prosaiche vicende terrene italiche si profila un terzo sigillo: è quello che contiene il terzo quesito referendario sul quale gli italiani saranno chiamati a votare domani (augurandoci che questa ondata di maltempo duri qualche giorno altrimenti, more solito, saranno sedotti dall’eterna e masochistica tentazione balneare). In questo caso, però, non esiste nessun mistero arcano. Il quesito posto, potenzialmente evocatore di una piccola Apocalisse, è l’abrogazione di una norma dell’ordinamento giudiziario del 1941 (per intenderci, formulata all’epoca dell’attacco a Pearl Harbour). Tale infelice disposto normativo consente il libero e disinvolto passaggio dei magistrati dalle funzioni requirenti (pubblici ministeri) a quelle giudicanti (giudici) e viceversa, dando vita al fenomeno definito delle “porte girevoli”.
L’importanza di tale riforma sarebbe di impatto quasi epocale, finendo per rinforzare, in ultima analisi, la certezza del diritto, dal momento che sarebbero ripartite a compartimenti stagni e senza promiscue commistioni le attività e le funzioni dei giudici da un lato e quelle dei pubblici ministeri dall’altra, con una netta e dicotomica separazione delle carriere. Con questo sistema de jure condendo ci si approssimerebbe, pur senza eguagliarlo, all’ordinamento giudiziario della common law, al quale il nostro modello procedurale è pur ispirato. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna il ruolo del giudice è infatti completamente diverso e distaccato dalle parti processuali, tanto che non solo la difesa ma anche l’accusa è sostenuta da avvocati.
Il nostro attuale codice di procedura penale è di tipo tendenzialmente accusatorio, nel senso che prevede una tendenziale parità fra accusa e difesa con un giudice terzo. A prescindere da una parità effettiva ancora da realizzarsi compiutamente nella fase dibattimentale, esiste ora una fase procedimentale (tecnicamente definita “delle indagini preliminari”) con una netta prevalenza di caratteri fortemente inquisitori e con un ruolo ipertrofico del pubblico ministero, dominus indiscusso della fase delle indagini, salvo il controllo occasionale di legalità previsto dal gip. È ovvio che, anche e soprattutto per ripristinare un certo equilibrio nella delicatissima fase delle indagini, il giudice debba essere a tutti gli effetti “terzo” e “imparziale”: non sono sinonimi come sembrerebbe, dal momento che il primo connotato sta a intendere che è al di sopra della vicenda giudiziaria mentre il secondo che non è parte.
Volendo approfondire il discorso e scandagliare il problema anche dal punto di vista delle dinamiche psichiche, la stessa forma mentis che si forma e si radica nel corso degli anni porta un magistrato (spesso involontariamente) a continuare ad agire secondo determinati stilemi e quindi non di rado si assiste a giudici che continuano a svolgere la loro funzione con la mentalità dei “cercatori di prove”, non rivestendo l’aulica asetticità che dovrebbe avere un soggetto giudicante.
Di Antonio Leggiero
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