Sulla concorrenza gli ultimi governi non hanno fatto nulla. Premessa fondamentale per capire cosa sia accaduto negli ultimi mesi: l’esecutivo Draghi ha lodevolmente deciso di non far restare lettera morta l’impegno alla legge annuale di verifica e aggiornamento sui temi della concorrenza, previsto con una specifica norma dal lontano 2009.
Con l’eccezione del 2017, la legge non è stata mai rispettata e i governi hanno svicolato, spaventati dall’impossibilità di trovare un equilibrio con gli interessi di gruppi di potere e pressione. Queste difficoltà non sono sparite, anzi, tanto è vero che il provvedimento atteso per la scorsa estate è via via slittato, fino a 48 ore fa. Anche il ddl licenziato in Consiglio dei ministri non tenta neppure di nascondere le frizioni nella maggioranza e i mal di pancia dei partiti. Così, Mario Draghi ha dovuto accettare di non decidere su un tema annoso e sul quale la normativa europea non lascia spazio a interpretazioni, come quello delle concessioni balneari. Ci è costato la giusta reprimenda della Commissione Ue di ieri, ma per queste ultime, come per l’altrettanto spinoso caso degli ambulanti, si è optato per una morbida ‘mappatura’ di tutte le concessioni.
Possiamo anticipare l’esito del lavoro: emergerà che lo Stato raccoglie una miseria in cambio della gestione di tratti di costa dall’enorme potenziale commerciale. In tutta evidenza uno spreco colossale. Eppure, sul punto e sugli ambulanti, la Lega non ha voluto sentire ragioni e il presidente del Consiglio ha evitato un nuovo confronto con Matteo Salvini. Realismo e pragmatismo hanno vinto, per evitare guai ben oltre la battigia. Il M5S si è irrigidito sugli inceneritori, mentre i tassisti hanno fatto risuonare i tamburi di guerra.
Resistenze e non pochi rinvii: all’apparenza, la montagna ha partorito ancora una volta il topolino. Eppure, la legge c’è e non è poco, purché sia chiaro un concetto: le liberalizzazioni e la sana concorrenza portano sempre in dote una quota di disagio e non raramente di dolore. È inevitabile, quando si mette mano a regole superate e dannose, ma radicate nel tempo e nelle consuetudini di interi settori.
Abbiamo bisogno di più concorrenza come l’aria, ma non possiamo permetterci un’eterna conflittualità con determinate categorie, abilissime a loro volta a trovare sponde opportunistiche in questo o quel partito. Basti ricordare i tassisti e Alemanno a Roma. Non si tratta di aver ‘paura’ ma di riconoscere che il tema della concorrenza è culturale.
Finché il Paese non avvertirà gli enormi vantaggi derivati dal poter avere più scelta, più servizi, più qualità (eh sì, che Bruxelles sul punto ha ragione), continueremo con le battaglie di bandiera. Tassisti oggi, gestori degli stabilimenti balneari domani. Così l’Italia finisce per avanzare a scatti, quando lo fa.
di Fulvio Giuliani
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