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Zagrebelsky, Piantedosi, Valditara

Zagrebelsky, Piantedosi, Valditara parole in libertà

Il costante, sconfortante, utilizzo di parole forti in politica: una deriva comune tra maggioranza ed opposizione
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Zagrebelsky, Piantedosi, Valditara parole in libertà

Il costante, sconfortante, utilizzo di parole forti in politica: una deriva comune tra maggioranza ed opposizione
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Zagrebelsky, Piantedosi, Valditara parole in libertà

Il costante, sconfortante, utilizzo di parole forti in politica: una deriva comune tra maggioranza ed opposizione
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Il costante, sconfortante, utilizzo di parole forti in politica: una deriva comune tra maggioranza ed opposizione
La sensazione è che non ci libereremo mai, almeno con questa generazione di politici o aspiranti tali, della fatale attrazione delle parole “forti”. Un alzare i toni, strepitare per far vedere di esserci, di contare, di saper impressionare la pubblica opinione, al di là di qualsiasi sostanza. È una deriva, comune a maggioranza e opposizione: ieri abbiamo sentito dare dell’”idiota” in Tv alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per le polemiche scoppiate dopo la sua frase sulle Fosse Ardeatine. “Idiota” in senso etimologico, si è affrettato a sottolineare l’autore della sparata, il costituzionalista Zagrebelsky, ma che bisogno c’è di usare quel termine, se non per cedere al desiderio di caciara? Nell’area di governo sembra viversi un’ansia a lungo sopita di rivalsa. Di far vedere che il nuovo potere raddrizzerà una serie di realtà giudicate sbagliate. C’è un moralismo di fondo, pericoloso sempre, ma indigeribile quando si arricchisce di una vena polemica aggressiva. Il ministro dell’Interno Piantedosi, che dovrebbe aver imparato a misurare anche i fiati sul tema dell’immigrazione dopo il terrificante e inemendabile scivolone sulla tragedia di Cutro, ieri si è lasciato andare a un’excusatio non petita sulla valanga di arrivi delle ultime ore additando nel sentiment della pubblica opinione una concausa del boom di sbarchi. Secondo Piantedosi, gli italiani ormai “accetterebbero” il fenomeno, rendendo più difficile le operazioni di contrasto. Parole in cui tornano a riecheggiare un’incapacità di valutare le dimensioni e motivazioni profonde delle migrazioni dalle aree povere alle ricche del mondo e di aver compreso quale enormità fu pronunciata sulle vittime di Cutro. Il suo collega della Pubblica istruzione e del Merito Valditara, intanto, definiva “fessi” chi non avrebbe compreso la sua circolare sui telefonini in classe. I “fessi” non avrebbero colto l’invito a mostrare rispetto nei confronti dei professori, umiliati dalle classi distratte dagli smartphone. Essendo il sottoscritto un “fesso” secondo Valditara, vorrei rassicurare il ministro di essere totalmente d’accordo con lui sul punto, ma di continuare a ritenere inapplicabile e “vecchia” quella circolare, se limitata agli aspetti coercitivi. Persino dannosa, se continueremo a far apparire lo smartphone solo uno strumento per giocare e distrarsi e non quella fenomenale porta d’ingresso alla comprensione del nostro mondo attraverso la realtà digitale. Se saputo usare. Perché usare l’epiteto “fesso“? Perché quest’ansia continua di bollare, mettere all’indice, offendere? Sono esempi, ma se ripescassimo le uscite sulla maternità surrogata degli ultimi giorni ci coglierebbe lo sconforto. Si possono, anzi si devono avere le idee più diverse, ma senza rispetto non si cresce. Si va all’indietro. Di Fulvio Giuliani

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