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25 novembre

25 novembre. Italia

Come si sfugge, oggi 25 novembre, alla trappola della retorica? Ancor di più dopo la tragedia di Giulia Cecchettin?
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Come si sfugge, oggi 25 novembre, alla trappola della retorica? Ancor di più dopo la tragedia di Giulia Cecchettin?
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Come si sfugge, oggi 25 novembre, alla trappola della retorica? Ancor di più dopo la tragedia di Giulia Cecchettin?
Come si sfugge, oggi 25 novembre, alla trappola della retorica? Ancor di più al termine di una settimana terribile per tutti, in cui la tragedia di Giulia Cecchettin ha colpito profondamente chiunque conservi almeno un po’ di empatia? Al punto da rendere difficilissimo affrontare il tema della violenza di genere senza sentirsi sprofondare. Ne abbiamo parlato in famiglia, con gli amici, al lavoro. Tutti abbiamo ascoltato una frase, un riferimento in metropolitana, mentre facevamo la spesa o in mille altre momenti quotidiani. In tanti casi accompagnati da uno sguardo che si abbassava, consapevole dell’impotenza provata. Oggi è necessario provare a pensare, scrivere e dire qualcosa in più. Non perché lo si “debba” alla ricorrenza del 25 novembre, ma proprio perché non riteniamo di avere alcun “obbligo” con la data-simbolo, ma verso la nostra umanità. L’obbligo è puntare in alto, al massimo, consapevoli del grande tratto di strada che abbiamo avuto la capacità di compiere insieme. Volere molto, molto di più perché abbiamo dimostrato di poterlo ottenere, come comunità, Paese, singoli individui. La certezza di dover ancora compiere sforzi enormi trova energia proprio in quelli già portati a termine. Come la democrazia non è una conquista per sempre, così il viaggio di avvicinamento fra i generi che abbiamo intrapreso ormai più di un secolo or sono non ci mette al riparo da dolorose e devastanti retromarce. Nessuno può dire di avere la verità in tasca e neppure di conoscere le ricette che ci mettano in sicurezza, ma possiamo imporci obiettivi grandi, sapendo partire anche dalle piccole cose. Tanto per cominciare, dagli ambiti professionali e personali di ciascuno. In quelli più noti al sottoscritto, per esempio, dare una mano a trasformare le distese di completi maschili blu e grigi in platee finalmente più variegate, in cui la presenza femminile non sia una nota di colore. In cui la dottoressa non diventi inevitabilmente la “signora”, mentre anche il più insignificante dei maschi il dottore, il professore, l’eccellenza o quant’altro. Sembreranno a taluni delle sciocchezze, dettagli o aspetti più facili da affrontare, ma sono parte del tutto. Segnali della nostra capacità di costruire un mondo degno delle aspirazioni e delle convinzioni dei nostri figli. Molto abbiamo scritto, in questi giorni, delle mamme dei papà e della loro capacità di educare non solo con l’esempio, ma anche “leggendo“ i propri ragazzi. Questi ultimi magari non se ne rendono conto o lo avvertono confusamente, ma sanno che il loro universo sta accelerando in modo esponenziale, rispetto a quello dei loro genitori. Parlatene, vi potranno sorprendere. Chiedono di avere strumenti, di essere accompagnati e anche riconosciuti. Suggeriamo, infine, il monito della poetessa canadese Margaret Atwood: “L’uomo ha paura che la donna rida di lui. La donna ha paura che l’uomo la uccida”. di Fulvio Giuliani

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