8 settembre 1943 e l’Italia sparì
8 settembre 1943, ottant’anni fa. Il giorno in cui lo Stato italiano, così come era stato conosciuto negli 82 anni di storia unitaria precedente, si dissolse. Finì
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8 settembre 1943, ottant’anni fa. Il giorno in cui lo Stato italiano, così come era stato conosciuto negli 82 anni di storia unitaria precedente, si dissolse. Finì
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8 settembre 1943, ottant’anni fa. Il giorno in cui lo Stato italiano, così come era stato conosciuto negli 82 anni di storia unitaria precedente, si dissolse. Finì
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8 settembre 1943, ottant’anni fa. Il giorno in cui lo Stato italiano, così come era stato conosciuto negli 82 anni di storia unitaria precedente, si dissolse. Finì
8 settembre 1943, ottant’anni fa. Il giorno in cui lo Stato italiano, così come era stato conosciuto negli 82 anni di storia unitaria precedente, si dissolse. Finì. Scomparve nel modo più vergognoso e ignobile immaginabile.
Nel pomeriggio di quel giorno livido, gli americani – per bocca del comandante in capo delle forze alleate, il futuro presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower – annunciarono da Radio Algeri che l’Italia si era arresa “senza condizioni“. La firma era arrivata cinque giorni prima a Cassibile, in Sicilia, al termine di settimane di trattative talvolta farsesche, che ci avevano fatto perdere quel briciolo di faccia e onore che ancora restava.
Nulla era stato fatto dalla banda di irresponsabili al comando dell’Italia dal giorno dell’arresto di Benito Mussolini, il 25 luglio 1943. Tutti sapevano quello che sarebbe accaduto al Paese, destinato a finire nelle mani dei nazisti, ma il capo del governo Badoglio, il re e la manica di patetiche figure al potere pensarono solo a salvare le proprie chiappe. Tutto ciò che seppero fare fu infischiarsene delle centinaia di migliaia di uomini dell’Esercito abbandonati al loro destino, della popolazione civile già stremata e – last but not least – del proprio onore.
La ridicola e vergognosa fuga della corona e del governo a Pescara, fu la (in)degna conclusione di una corsa al baratro intrisa di vigliaccheria e pressappochismo.
L’8 settembre 1943 ci ha segnato per tutta la nostra storia successiva: il Paese avrebbe dovuto elaborare quella vergogna, ma ha preferito metterla sotto il tappeto. Tanti di noi, nati decenni dopo, sono stati allevati da libri di testo in cui sembrava che la guerra l’avessimo pareggiata, mentre emergeva una versione romanzesca della Resistenza.
Il fenomeno cui dobbiamo la riscossa del nostro nome e del nostro onore nacque proprio in quelle ore terribili e all’inizio fu movimento di pochi. Fra questi, tanti militari dimenticati per decenni, nei tempi in cui si raccontò una Resistenza solo comunista e di centinaia di migliaia di persone. Peccato che per vedere le folle avremmo dovuto aspettare il 25 aprile del 1945, a giochi fatti e con le truppe alleate ormai a Milano. Ancora oggi non riusciamo a raccontare una storia condivisa e ci dimentichiamo di onorare i pochi che non sbandarono e riconobbero la necessità morale di schierarsi dalla parte giusta della Storia, contro il mostro nazista. Fra gli indicibili disastri di quelle giornate, i fuggiaschi dell’8 settembre fornirono persino una motivazione “morale“ a chi scelse di combattere con i tedeschi nell’ultima, lugubre versione del fascismo.
Una nota conclusiva amara e sarcastica: cominciammo la Seconda guerra mondiale da “non belligeranti“, la formula inventata da Mussolini perché sembrava brutto dirsi neutrali… Finimmo da “cobelligeranti“ perché americani e inglesi non ci concessero mai lo status di alleati contro la Germania. Due ipocrisie ad avvolgere una tragedia senza fine.
di Fulvio Giuliani
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