Mancano quattro giorni a Pasqua, quella che in Ucraina sarà segnata dall’inevitabile assalto di Mariupol. Mentre, in un contrasto atroce, l’Italia si prepara alle prime feste post pandemia.
Quattro giorni alla Pasqua, in una settimana che non abbiamo esitato a definire terribile per l’Ucraina, in attesa dell’offensiva russa nel Sud-Est del Paese. Il colpo di maglio a cui Vladimir Putin affida le sue speranze di riprendere l’iniziativa strategica, dopo i disastri accumulati sugli altri fronti della sua aggressione brutale e ormai ridotta ufficialmente da ieri al solo Donbass (ma come, l’obiettivo non era liberare tutta l’Ucraina dai ‘nazisti’ che esistono solo nella sua testa?).
Quattro giorni alla Pasqua, in occasione della quale papa Francesco ha chiesto una tregua, sapendo di non poter ottenere granché da Vladimir Putin e dal suo fedele scherano spirituale, il patriarca ortodosso di Mosca Kirill. Quattro giorni a una Pasqua di guerra, che sarà inevitabilmente segnata dalla cronaca dell’assalto finale a Mariupol, città destinata a restare nella nostra memoria collettiva come Sarajevo, come Grozny. Centri assediati, messi alla fame, ridotti a un cumulo di macerie, in un disegno distruttivo da lasciare senza fiato. Dopo gli orrori dell’ex Jugoslavia, ci eravamo illusi di aver generato anticorpi abbastanza forti in Europa per non dover assistere più allo scempio dei combattimenti casa per casa, ai civili ridotti a topi, alle vittime che non si ha più nemmeno la capacità di contare. Abbiamo provato a dimenticare troppo in fretta il dramma ceceno e di Grozny in particolare, dove i russi hanno sperimentato a lungo la loro tattica belluina dello spianamento di intere città, pur di piegare chiunque osi opporsi. Non sarà certo un caso che oggi la propaganda più sanguinaria dell’armata venga affidata all’impresentabile capo ceceno Kadyrov, un macellaio da film di 007 già sbugiardato più volte in questa guerra ma fedele immagine del terrore putiniano. Questa è la Pasqua che aspetta il Donbass, l’Ucraina e il mondo civile.
In un contrasto atroce – ma che dobbiamo avere la forza di guardare negli occhi per capirlo e trarne energia – l’Italia, l’Occidente e l’Europa si preparano alle prime vere feste post pandemia. Questa Pasqua, in Italia, segnerà il tutto esaurito praticamente ovunque. Dalle città d’arte alle località classiche di villeggiatura, torneremo a vedere valanghe di stranieri, mentre 14 milioni di italiani sono pronti a muoversi per il lungo weekend. Seguendo la legge della domanda e dell’offerta, prezzi e tariffe sono schizzati, alimentando anche qualche sospetto sulla voglia di rifarsi dei lunghi mesi segnati dal Coronavirus a spese del turista. Sia come sia, l’azienda turismo-Italia si appresta a segnare numeri straordinari, sottolineando la voglia di vita e normalità, dopo la compressione psicologica della pandemia. Certo, mancheranno i turisti russi a ricordarci ciò che sta accadendo, ma soprattutto che le responsabilità sono tutte in capo a un uomo. Non vediamo l’ora di riaverli (magari meno oligarchi e più classe media, segno di un’auspicata maturazione di una società a oggi lontanissima dalle nostre) ma nel frattempo ci prepariamo a vivere la Pasqua consci dello straniamento fra guerra, ansia di normalità, turisti, divertimento e affari.
Non c’è nulla di sbagliato, anzi. Questo è il nostro mondo, questo è ciò che difendiamo e difenderemo a ogni costo, contro i disegni messianici e allucinati di chi vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia alla contrapposizione fra imperi, con Paesi ridotti a vassalli. Non è un lavarsi la coscienza, significa leggere la realtà: continuando a vivere secondo i modelli che ci siamo liberamente scelti, mandiamo milioni di messaggi a Vladimir Putin e alla sua cricca. Non accorceremo la guerra in Ucraina, non riusciremo a evitare le tragedie da cui siamo partiti nel nostro ragionamento, ma non ci piegheremo a ciò che si sarebbe aspettato l’uomo di Mosca: un Occidente molle e satollo. Pronto a qualsiasi concessione, pur di starsene tranquillo a fare business. Vivremo la nostra Pasqua potendoci guardare ancora allo specchio, mentre un leader occidentale (il cancelliere austriaco) è andato fino al Cremlino per dire in faccia a Putin quello che pensiamo di lui e dei suoi crimini. No, non è proprio andata come si sarebbe aspettato.
di Fulvio Giuliani
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