A tavola parlando di tavola
Il piacere di mangiare non è una novità ed è attorno alla tavola che si è costruito il nostro ‘buon vivere’ all’italiana
A tavola parlando di tavola
Il piacere di mangiare non è una novità ed è attorno alla tavola che si è costruito il nostro ‘buon vivere’ all’italiana
A tavola parlando di tavola
Il piacere di mangiare non è una novità ed è attorno alla tavola che si è costruito il nostro ‘buon vivere’ all’italiana
Il piacere di mangiare non è una novità ed è attorno alla tavola che si è costruito il nostro ‘buon vivere’ all’italiana
Per Anthelme Brillat-Savarin «invitare qualcuno alla nostra tavola vuol dire incaricarsi della sua felicità durante le ore che egli passa sotto il vostro tetto». Il piacere di mangiare non è una novità ed è attorno al desco che si è costruito il nostro ‘buon vivere’ all’italiana.
Nella cosmogonìa babilonese gli dèi nascono a tavola, nell’antica Grecia il pasto principale era detto logodeipnon, il banchetto di parole. «Non ci invitiamo l’un l’altro per mangiare e bere semplicemente, ma per mangiare e bere insieme» afferma Plutarco nelle “Dispute conviviali”. Fino al Medioevo e alla sua cavalleresca “tavola rotonda”, il tavolo diventa il luogo dove si esprime la costruzione delle idee.
Nel Medioevo la cucina resta appannaggio delle élite, la carne diventa dominante a scapito delle verdure e l’olio d’oliva cede il posto allo strutto. È anche il momento del trionfo di torte e dolci. I pasti cerimoniali consistono da quattro a dodici portate, un po’ come il buffet moderno. S’impone il servizio ‘francese’. Si mangia a tavola e si cominciano a utilizzare coltelli e cucchiai, oltre alle dita. A quel tempo, l’usanza era di servire a tavola un piatto unico dal quale ognuno prendeva e mangiava. La comparsa delle posate nel XV secolo fu il segno della nascita di un nuovo concetto: quello di individuo.
A poco a poco sulle tavole da pranzo apparvero con forchette a tre rebbi, grandi tovaglioli, argenteria, maiolica e brocche. Alle panche medievali si sostituirono i sedili. Quando arrivò il servizio individuale, innanzitutto per re e signori, questi ultimi (per paura di avvelenamenti) ordinarono di coprire i loro piatti al momento della presentazione. Si chiamavano pietanze servite à couverture, cioè con il coperchio. La parola coperto si estese a tutte le stoviglie e agli utensili che stavano sulla tavola e da questo servizio ‘coperto’ nacque l’espressione “apparecchiare la tavola”.
A partire dal 1530 le buone maniere a tavola fecero la loro comparsa fra i nobili, in seguito all’uscita dell’opera di Erasmo intitolata “Civilitas morum puerilium”. Si narra che il “grande pasto francese” sia stato inventato durante il Rinascimento, alla tavola di Caterina de’ Medici, ma fu l’aristocrazia d’Oltralpe a utilizzarlo per affermare la propria superiorità. Nel XVIII secolo si diffuse l’installazione di tavoli da pranzo e di tavolini da giardino.
Fu in questo periodo che Enrico III introdusse l’uso della forchetta moderna. Carlo V ne possedeva una dozzina, che custodiva gelosamente come un tesoro e Luigi XIV ne proibì l’uso ai suoi nipoti. I grandi navigatori dell’epoca portarono cioccolato, caffè, tè, pomodori, fagioli, zucca, zucchine e patate. Furono inventati lo champagne, la maionese e la panna montata. Fu l’epoca della creazione dei ristoranti, nel senso moderno della cucina di piacere, da parte di chef senza lavoro per l’esodo dei loro padroni durante la Rivoluzione.
Nella seconda metà dell’Ottocento, quando la polizia voleva far confessare i suoi crimini a qualcuno, era consuetudine privarlo del cibo. Soltanto se avesse ammesso i suoi torti avrebbe potuto riconquistare il diritto di mangiare e quindi di ‘sedersi a tavola’. Attorno alla tavola vi è il racconto della vita. In fondo, come scriveva Leo Longanesi in un tumultuoso dopoguerra, «tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola».
Di Francesca Bocchi
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche