Bambini in affidamento: trovare famiglia e riperderla
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Bambini in affidamento: Elena (nome di fantasia) i primi mesi ha vissuto con la mamma – minorenne, che soffre di un deficit cognitivo e di dipendenza – e la nonna. Ma c’è un ma

Bambini in affidamento: trovare famiglia e riperderla
Bambini in affidamento: Elena (nome di fantasia) i primi mesi ha vissuto con la mamma – minorenne, che soffre di un deficit cognitivo e di dipendenza – e la nonna. Ma c’è un ma
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Bambini in affidamento: Elena (nome di fantasia) i primi mesi ha vissuto con la mamma – minorenne, che soffre di un deficit cognitivo e di dipendenza – e la nonna. Ma c’è un ma
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Oggi Elena (nome di fantasia) ha poco più di tre anni. Per i primi mesi ha vissuto con la mamma – ancora minorenne, che soffre di un deficit cognitivo e di dipendenza – e la nonna. La piccola ha sviluppato nel tempo una serie di disturbi, psicologici e motori, che le due donne non potevano seguire. Così, a un anno, Elena è stata presa in carico dai servizi sociali e affidata a un’altra famiglia (tecnicamente “collocataria”) che fino a oggi l’ha accudita facendole fare numerosi progressi. Non soltanto la piccola ha mantenuto ottimi rapporti con la madre e la nonna (che continua a frequentare), ma la coppia che l’ha ricevuta in affidamento è riuscita ad attivare un sistema virtuoso che funziona: tutti quanti – assistenti sociali, legali, famiglia di origine e famiglia “collocataria” – partecipano positivamente nell’accompagnare al meglio la crescita della bambina.
Ma c’è un ma: il Tribunale dei Minori si ‘sveglia’ accorgendosi che sono trascorsi i due anni previsti dalla legge sull’affido (la n. 184 del 1983), chiude il procedimento messo in piedi e avvia l’istruttoria per aprirne un altro con cui dichiarare l’adottabilità di Elena. La quale sta così per affrontare un doppio, traumatico abbandono. «Una situazione paradossale e potenzialmente dannosa a cui ci opporremo» commenta l’avvocata Luisa Pola, specializzata in diritto minorile e di famiglia, che di Elena è tutrice e curatrice speciale. Sì, perché in una elevata percentuale di casi la durata dell’affidamento familiare si prolunga ben oltre i due anni previsti, con la conseguenza che si dà l’avvio al procedimento di adozione e il minore (ormai emotivamente più consapevole) dovrà conoscere una terza famiglia. Ma esiste una cosa che si chiama «diritto alla continuità affettiva con gli affidatari» che la legge n. 173 del 2015 tutela proprio per evitare che venga reciso quel legame importante che spesso nasce fra il minore e gli affidatari.
Quarant’anni fa la legge n. 184 veniva approvata proprio per riconoscere il diritto di ogni bambino a crescere in una famiglia: in quegli anni in Italia c’erano 230mila minori in istituto mentre oggi i ragazzi fuori famiglia sono circa 28mila e la metà di loro sta crescendo in una famiglia affidataria. Uno strumento preziosissimo, l’affido minorile, che però appare incompiuto e spesso sotto attacco: innanzitutto perché vi è un’enorme eterogeneità di applicazione sul territorio nazionale (tutta una serie di competenze sono ormai passate alle Regioni); poi perché l’80% degli affidi (come nel caso della nostra Elena) è decretato dal tribunale e dunque è di tipo ‘riparativo’: se gli interventi fossero più precoci, gli effetti sarebbero diversi e positivi; infine si continua a fare finta che gli affidi siano temporanei, mentre i dati ci dicono che nella maggioranza dei casi sono definitivi: non per effetto di una decisione certa e consacrata, piuttosto per il fatto che decisioni non se ne assumono e si va avanti per anni in situazioni incerte che pesano moltissimo sui minori.
Occorrerebbe permettere al minore di mettere radici nella famiglia dov’è stato accolto e non per inerzia: il suo unico interesse è crescere in un contesto sano che risponda ai suoi bisogni. Senza posizioni ideologiche e lontane dalla realtà.
di Ilaria Donatio
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