I critici del pancione
È bastato vedere la giornalista Clarissa Ward col pancione in Ucraina per aizzare le critiche di molti, noncuranti del valore del giornalismo
| Società
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È bastato vedere la giornalista Clarissa Ward col pancione in Ucraina per aizzare le critiche di molti, noncuranti del valore del giornalismo
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È bastato vedere la giornalista Clarissa Ward col pancione in Ucraina per aizzare le critiche di molti, noncuranti del valore del giornalismo
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È bastato vedere la giornalista Clarissa Ward col pancione in Ucraina per aizzare le critiche di molti, noncuranti del valore del giornalismo
Fa sensazione vedere una giornalista in avanzato stato di gravidanza, fra le macerie della folle guerra scatenata da Vladimir Putin in Ucraina.
Purché si voglia osservare e valutare più il pancione che il lavoro di Clarissa Ward, 42 anni, reporter della Cnn e capo dei corrispondenti internazionale del colosso di Atlanta.
Già mamma e oggi nuovamente in attesa al quinto mese di gravidanza, la Ward è giornalista di profonda esperienza, abituata ai peggiori climi che si possono respirare in giro per il mondo. In Afghanistan, mentre le forze occidentali preparavano il maldestro ritiro dell’estate del 2021, fu aggredita da alcuni talebani in odore di trionfo perché non adeguatamente coperta secondo la loro assurda versione dell’Islam.
In Libia, incinta del primo figlio, l’auto su cui viaggiava nei giorni della dissoluzione del Paese fu quasi centrata da un colpo di mortaio.
Stiamo parlando di tutto, ma non certo di una collega che sia andata in Ucraina per mostrare il pancione. Eppure per molti il tema resta quello: non pesare la portata del suo lavoro e dello speciale in preparazione per la Cnn sul primo, lugubre anniversario dell’invasione russa, ma chiedersi ad alta voce e con un certo tono di condiscendenza e rimprovero cosa posso fare e soprattutto NON fare una donna in stato interessante (come si diceva una volta).
In un’intervista concessa ad un’altra inviata di guerra, Francesca Mannocchi de La Stampa, Clarissa Ward ha illustrato la sua posizione con una chiarezza che dovrebbe convincere e “tranquillizzare” i soloni in servizio permanente effettivo: “Da quando sono madre, sono emotivamente più esposta e più sensibile alle sofferenze degli altri, tendo ad essere più fisica, ad abbracciare di più le persone, ad essere più coinvolta dalle storie di sofferenza delle persone normali. Si può vivere la maternità, essere donna e raccontare conflitti. È il prezzo da pagare nel nostro lavoro”.
I cinici vedranno solo parole adatte alla situazione, chi ancora riesce a comprendere il valore del giornalismo sul campo e il ruolo insostituibile degli inviati di guerra (vocazione di pochissimi e già questo andrebbe tenuto sempre presente) vedrà la passione bruciante e assoluta per un lavoro da cui dipende una buona parte della nostra capacità di valutare drammi che non possono essere seguiti e tantomeno compresi solo su Instagram o con un paio di tweet.
Di Fulvio Giuliani
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