Concorso scuola, precari e futuro
Concorso scuola, precari e futuro
Concorso scuola, precari e futuro
Scegliamo un titolo fra i tanti dedicati al concorso varato per ‘stabilizzare’ gli insegnanti non di ruolo: “Concorso straordinario per sanare i precari: 14.000 posti. Un solo orale, senza bocciati”. Non crediamo sia necessario aggiungere altro. Certo, a differenza di altre infornate, questa volta si è almeno deciso di procedere al bando di un concorso, rivestendo la solita operazione salva-precari di una patina (giusto quella) di verifica. Selezione giammai, che brutta parola.
L’idea di un concorso senza bocciati farebbe persino sorridere se non fosse profondamente imbarazzante. Nessuno ce l’ha con i 14mila professori che si apprestano a ritirare l’abilitazione professionale definitiva – perché di questo si tratta, andare a ritirare un certificato, se non è previsto un vero esame e puoi passare anche facendo scena muta – ma rivendichiamo il diritto di dirci scioccati dall’ostentata indifferenza per i destini dei nostri ragazzi. In una scuola destinata a perdere a velocità crescente classi, a causa del gelo demografico del nostro Paese, tutto ciò di cui riusciamo a occuparci è stabilizzare nuovi professori e avviarne quanto prima altri alla pensione, in modo da far spazio a loro. Viceversa, con sempre meno alunni, non si capisce proprio cosa potrebbero mai fare.
Organizziamo concorsi in cui non si verifica il grado di preparazione dei docenti, mandiamo avanti una scuola che sembra planare da altre epoche. Una deprimente macchina del tempo – dalle aule uguali a quando a scuola andavamo noi, a una didattica sclerotizzata e inadatta a rispondere agli stimoli di oggi – che non prepara e non seleziona. Punte d’eccellenza ne abbiamo e anche molte, mentre tanti insegnanti danno letteralmente l’anima per il proprio lavoro e i propri studenti, ma tutto questo non basta a garantire una preparazione media adeguata ai tempi. Siamo costantemente in fondo a tutte le classifiche europee, mandiamo pochi ragazzi all’università e ne laureiamo ancora meno. Chiudiamo quasi ogni graduatoria di apprendimento e consola molto poco ripetersi che il nostro modello didattico ha solide e gloriose tradizioni.
È di pochi giorni fa l’indagine, rilanciata da Save the Children, secondo la quale il 51% dei quindicenni italiani non sarebbe in grado di comprendere ciò che legge. Non “La critica della ragion pura” di Kant, ma testi banali e generici.
In fin dei conti, una scuola che non seleziona i professori come potrebbe mai fare della preparazione e del merito la sua grammatica dell’inclusione? Preferiamo un finto egualitarismo e pazienza se questo andazzo costerà cocenti delusioni ai nostri figli. Nelle migliori università italiane, per tacere di quelle estere, la selezione c’è eccome ed è già all’ingresso. Nel caso della Bocconi di Milano, solo uno studente su sei supera i test d’ammissione. Si può far finta di credere che certe università e determinati percorsi siano “per ricchi”, ma la verità è che sono “per bravi” e che l’impegno non conosce censo.
di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche