Mettiamoci l’animo in pace: entro la fine del 2022 tutti i prodotti Disney – e dunque anche Pixar, Marvel e Star Wars – avranno al loro interno personaggi e storie con almeno il 50% di presenze Lgtbq+. Questo significa che, oltre alle serie per teenager e ai film, anche i cartoni animati avranno la loro quota di personaggi queer. L’annuncio è stato fatto da Karey Burke, presidente della Disney’s General Entertainment Content e madre di cinque figli, di cui uno transgender e uno pansessuale.
Certo, il mondo cambia e la narrazione deve adeguarsi. La realtà di oggi ci mostra generazioni di adolescenti con identità di genere e orientamenti sessuali sempre più fluidi ed è fisiologico che i personaggi che li rappresentano e le loro storie gli assomiglino. È anche giusto che i bambini, figli di famiglie sempre più diverse ed eterogenee, trovino riferimenti alla loro realtà anche nei cartoni animati, perché una storia che parla di te è una storia che ascolti più volentieri. Mi chiedo però a che età un bambino si trovi a identificarsi con un personaggio piuttosto che con un altro per il suo orientamento sessuale e soprattutto se questo abbia senso all’interno di una fiaba.
Intendiamoci, non sarà una principessa lesbica a far diventare lesbica una bambina così come le principesse etero non hanno impedito a milioni di bambine cresciute con loro di diventare gay o transgender, ma non è l’identità di genere o l’orientamento sessuale di un personaggio a determinare se un bambino o una bambina si identificheranno in lui. I personaggi di una fiaba sono sempre archetipi e come tali portano in sé dei tratti in cui tutti possono identificarsi ma in cui nessuno si può identificare del tutto. Ogni bambina può sentirsi principessa e lupo cattivo, ranocchio e strega, principe azzurro e pozione, matrigna e cacciatore in momenti diversi e persino allo stesso momento e tutto questo a prescindere dal fatto che la matrigna abbia una liaison con la principessa o col cacciatore. Saranno il coraggio, la paura, la sensibilità, la fierezza, la furia, l’intelligenza e il pudore a far scaturire nel bambino e nella bambina il processo di identificazione con questo o quel personaggio, non certo chi bacia nella storia.
Dopo aver ribadito, a scanso di equivoci, che Buzz Ligthyear gay non cambierà nulla né a noi né ai nostri figli, ci sarebbe da chiedersi perché sia stata necessaria una pubblica dichiarazione di quote “arcobaleno” quando la transizione verso personaggi con caratteristiche più inclusive poteva avvenire comunque senza proclami, lavorando come si è sempre fatto per raccontare storie il più possibile rappresentative. Quel 50% buttato là come un monito appare più un proclama politico e una scelta di marketing che una sincera riflessione sul mondo che cambia.
di Maruska AlbertazziLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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