DCA, bisogna fare di più
Dalla prima campagna “No anoressia” del 2007 realizzata da Oliviero Toscani fino ai giorni nostri: c’è ancora tanta strada da fare
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Dalla prima campagna “No anoressia” del 2007 realizzata da Oliviero Toscani fino ai giorni nostri: c’è ancora tanta strada da fare
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Dalla prima campagna “No anoressia” del 2007 realizzata da Oliviero Toscani fino ai giorni nostri: c’è ancora tanta strada da fare
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Dalla prima campagna “No anoressia” del 2007 realizzata da Oliviero Toscani fino ai giorni nostri: c’è ancora tanta strada da fare
Sono passati sedici anni dalla campagna del 2007 “No anoressia” realizzata dal noto fotografo Oliviero Toscani per il marchio Nolita. Mai prima di allora nessuno aveva avuto il coraggio di mostrare la brutalità e la ferocia dell’anoressia in maniera così plateale. La protagonista della campagna pubblicitaria, Isabelle Caro, modella francese, che soffriva di una grave anoressia nervosa dall’età di 13 anni, è morta nel 2010 a soli 29 anni e un peso corporeo di appena 31 chili.
Da allora l’anoressia e la bulimia non sono più un tabù. Il legislatore è più volte intervenuto sul tema, parlando soprattutto alle agenzie di moda. Molte parole e pochi fatti. Perché ancora oggi sulle passerelle si vedono standard di magrezza che non rispecchiano per nulla quei cambiamenti promessi e mai attuati. Basti guardare le ultime sfilate di Parigi (proprio in Francia dove dal 2016 esiste la “loi mannequin”) per capire quanta strada ci sia ancora da fare (nella gallery gli stilisti che ancora oggi fanno sfilare modelle di una magrezza impressionante).
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i disturbi del comportamento alimentare, di cui si celebra oggi la giornata mondiale, sono la seconda causa di morte per le ragazze nella fascia di età tra i 12 e i 25 anni, età che si è abbassata dopo la pandemia arrivando a interessare persino i bambini, maschi compresi.
Certo, il mondo della moda non è l’unico campo in cui si deve combattere la battaglia. Tantissime famiglie, oggi, chiedono che non solo ci sia maggiore prevenzione – soprattutto attraverso interventi nelle scuole – ma che lo Stato italiano istituisca più centri specializzati per curare questi disturbi e abbattere le lunghissime liste d’attesa. Il fattore tempo, in queste malattie, può fare la differenza tra la vita e la morte.
Di Claudia Burgio
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