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Il disagio psichico

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Una tematica che si torna ad affrontare solo quando ci scappa il morto. Quella del disagio psichico, della gestione dei malati psichiatrici

Il disagio psichico

Una tematica che si torna ad affrontare solo quando ci scappa il morto. Quella del disagio psichico, della gestione dei malati psichiatrici
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Il disagio psichico

Una tematica che si torna ad affrontare solo quando ci scappa il morto. Quella del disagio psichico, della gestione dei malati psichiatrici
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A Conegliano, una madre uccisa dal figlio che aveva disperatamente cercato di aiutare. In provincia di Cuneo, un ragazzo che si sente perseguitato e va in giro a minacciare le persone con un coltello. Due storie diverse, una con un epilogo tragico, accomunate però da una tematica che si torna ad affrontare solo quando ci scappa il morto. Quella del disagio psichico, della gestione dei malati psichiatrici da quando – e di anni ne sono passati tanti – sono stati chiusi i manicomi. Una conquista di civiltà, certo, che però in alcune situazioni rischia di trasformarsi in un boomerang. Nel caso di Conegliano l’uomo veniva ricoverato nei momenti delle crisi più acute, poi rimandato a casa. La stessa madre, che aveva ammesso di averne paura, sperava di poter riuscire a tenere sotto controllo la situazione. E invece questi sono casi in cui la tragedia è sempre dietro l’angolo. Posto che anche una persona sana di mente può avere un raptus di follia, ci sono casi in cui non c’è nulla di inaspettato. Il problema è che queste persone vengono lasciate in balia di sé stesse, non per negligenza ma alle volte proprio per mancanza di risorse. Prendiamo un Comune con poche migliaia di abitanti e immaginiamo che vi siano anche solo due o tre persone con problemi psichiatrici: chi si fa carico di seguirli? Non basta, com’è evidente e come dimostrano purtroppo i fatti di cronaca, la presenza di assistenti sociali che in qualche modo supervisionino la situazione. Inoltre i fondi per i servizi legati alla salute mentale sono stati progressivamente ridotti negli anni, con il risultato che nella stragrande maggioranza dei casi queste problematiche rimangono a carico delle famiglie. Se le famiglie ci sono. Perché nel caso del paesino in provincia di Cuneo si tratta invece di un ragazzo arrivato con un programma di accoglienza per i rifugiati. Straniero in un Paese di cui conosce a malapena la lingua. Il progetto in cui era stato inserito si è concluso, quindi nessuno lo segue. Qui la tragedia non c’è stata e speriamo non ci sia, ma c’è un paese che vive nel terrore. Ed è evidente che si tratta di una persona con delle problematiche. Il tema esiste anche se non se ne parla spesso, come se esistesse una sorta di tabù da sfatare. Oltre il Tso, oltre i ricoveri, c’è una zona grigia che deve essere affrontata in modo strutturale. Da quella dipende non solo il recupero – quando possibile – di queste persone, ma a volte anche la stessa vita di tutti quelli che sono a contatto con loro. Di Annalisa Grandi

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