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Educare è più utile di proibire

I digital detox o le demonizzazioni dei social non servono a nulla: sarebbe molto più utile insegnare ai ragazzi una vera e propria educazione digitale. Ma chi insegna a chi?

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Educare è più utile di proibire

I digital detox o le demonizzazioni dei social non servono a nulla: sarebbe molto più utile insegnare ai ragazzi una vera e propria educazione digitale. Ma chi insegna a chi?

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Educare è più utile di proibire

I digital detox o le demonizzazioni dei social non servono a nulla: sarebbe molto più utile insegnare ai ragazzi una vera e propria educazione digitale. Ma chi insegna a chi?

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I digital detox o le demonizzazioni dei social non servono a nulla: sarebbe molto più utile insegnare ai ragazzi una vera e propria educazione digitale. Ma chi insegna a chi?

Un sondaggio di un anno fa dell’Osservatorio scientifico del Movimento etico digitale rilevava come il 65,5% degli intervistati non avesse restrizioni sull’uso dei social network, mentre solo il 34,5% dichiarava di imporsi dei limiti. Il 40% ‘navigava’ più di 4 ore al giorno, mentre un giovane su 10 ‘navigava’ persino di notte senza alcun controllo da parte dei genitori e il 19% aveva subìto esperienze negative. Risultava anche che il cyberbullismo coinvolgeva il 23% degli adolescenti e che esperienze negative (da reati) riguardavano quasi due ragazzi su tre. In aumento anche le truffe (+7%) e gli attacchi informatici (+12%).

A fronte di tutto ciò, constatiamo come si moltiplichino gli esperimenti di digital detox, cioè di disintossicazione digitale. Esperienze che consentono di recuperare e/o scoprire altre forme di comunicazione, informazione e intrattenimento. Cresciuti con dispositivi digitali sui quali hanno messo gli occhi e le dita fin dalla nascita, molti giovani non hanno mai sperimentato un tempo disconnesso dalla tecnologia digitale. Un fatto che ha generato esperimenti di recupero delle peculiarità analogiche rispetto al tempo del digitale. Accade che con crescente frequenza alcuni adulti decidano di trascorrere giornate, weekend o settimane senza tecnologia. Soluzioni – in realtà – altrettanto estreme. In un film di qualche anno fa (“Sconnessi”) un gruppo assai eterogeneo per età e condizione sociale sperimenta un periodo in montagna lontano dalla tecnologia, scoprendo quanto questa sia indispensabile nel momento in cui a una donna del gruppo incinta si rompono improvvisamente le acque. Le conseguenze saranno rocambolesche, anche se a lieto fine.

Si torna sempre allo stesso punto di partenza per qualsiasi esperienza umana: l’uso che si fa della tecnologia. Il filosofo Emanuele Severino ha affrontato per una vita temi connessi appunto a questo aspetto ormai essenziale della nostra quotidianità: il progresso delle scienze, l’intelligenza artificiale. Stiamo parlando delle manifestazioni di un progresso inarrestabile (e sarebbe stupido oltre che impossibile pensare il contrario) in cui siamo tutti immersi, ricchi e poveri, Nord e Sud del mondo, bianchi e neri, occidentali e orientali. Per questo dobbiamo muoverci per utilizzare le tecnologie, non esserne utilizzati fino a restarne posseduti.

Emerge in modo chiaro come sia necessaria una didattica scolastica che, oltre alla corretta alfabetizzazione informatica, provveda a una vera e propria educazione digitale. Un appello quanto mai coerente con l’anno scolastico di prossima apertura, coinvolgendo anzitutto l’incipit della formazione, alias le scuole primarie. Un’educazione che coinvolga le famiglie con poche ma inderogabili regole. L’obiettivo è quello di creare un percorso che insegni a usare correttamente la tecnologia, sottraendola al – pericolosissimo – fai da te. Un fai da te di cui ad esempio sono state vittime in passato tutte le generazioni relativamente all’educazione sessuale. Quest’ultima finalizzata non solo alla spiegazione scientifica di fenomeni naturali quali l’accoppiamento, ma anche e soprattutto all’educazione al rispetto, all’emozione, al sentimento.

Un telefono cellulare, un tablet, un pc possono essere usati per fare del male o del bene. Credo sia giunto il momento di introdurre in modo significativo e istituzionale l’educazione digitale. Cosa dobbiamo aspettare ancora? E soprattutto: perché? Il sondaggio da cui siamo partiti evidenzia anche come molti giovani non siano consapevoli dell’impatto che i contenuti pubblicati sui social media possono avere. È quindi fondamentale che siano educati all’importanza della reputazione online e a utilizzare la tecnologia digitale in modo responsabile. Tutto ciò detto, resta un problema di cui non conosco i contorni: chi insegna a chi?

di Pino Casamassima

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