Finire inghiottiti dalla Fomo
La Fomo: la paura di essere esclusi, tagliati fuori da quelle esperienze piacevoli a cui partecipano amici e conoscenti
Finire inghiottiti dalla Fomo
La Fomo: la paura di essere esclusi, tagliati fuori da quelle esperienze piacevoli a cui partecipano amici e conoscenti
Finire inghiottiti dalla Fomo
La Fomo: la paura di essere esclusi, tagliati fuori da quelle esperienze piacevoli a cui partecipano amici e conoscenti
La Fomo: la paura di essere esclusi, tagliati fuori da quelle esperienze piacevoli a cui partecipano amici e conoscenti
L’uso di Instagram, TikTok e piattaforme simili è entrato nel tessuto sociale, tanto da modificare le interazioni umane e la psiche. In particolare quelle delle giovani menti. In base a tale fenomeno sono stati messi in campo numerosi studi pubblicati su Medline (la banca dati curata dalla Biblioteca nazionale di medicina degli Usa), che analizzano alcuni punti. L’uso dei social media, l’autolesionismo, la cybercondria, il cyberbullismo, il sexting e infine la Fomo. Quest’ultimo è un acronimo – coniato dallo statunitense Patrick James McGinnis – che sta per Fear Of Missing Out. Cioè paura di essere esclusi, tagliati fuori da quelle esperienze piacevoli a cui partecipano amici e conoscenti.
La correlazione fra social media e disturbi psicologici è complessa e dipende anche dalle caratteristiche specifiche del soggetto. Ma prove crescenti documentano la diffusione di una sorta di contagio nella risposta ansioso-depressiva. La paura di essere esclusi genera ansia e alimenta sentimenti di frustrazione che inducono a proiezioni continue sulla vita degli altri, percepita – a dispetto della propria – piena di cose e di eventi gratificanti. Si amplifica così il desiderio di essere centrali al sistema. E il mezzo più facile, perché a portata di mano, è scivolare sui social network con un meccanismo di controllo compulsivo di notifiche e post, urlando al mondo messaggi di inclusione. Del tipo: «Io ci sono. Anch’io sono parte del gioco».
Nei casi di Fomo spiare la vita altrui diventa un bisogno compulsivo, una necessità che si perpetua in diversi momenti del quotidiano. E il fenomeno si allarga alle vite in vetrina filtrate dal grande occhio delle telecamere. Che arrivano a colpire la nostra retina come format televisivi di successo. Assistere alle storie messe in piazza (false o reali che siano), nei salotti o in uno studio televisivo allestito come un ambiente domestico, eccita quella curiosità quasi morbosa che fa accrescere l’audience. Tra i principali fattori psicologici che spingono lo spettatore a preferire servizi di tendenza c’è l’euristica (dal greco heuriskein) del consenso. Che risponde a processi mentali intuitivi e sbrigativi affidati per lo più al giudizio informale collettivo.
Adeguarsi alla massa evita il rischio di emarginazione e su tale principio si sviluppa anche il Fomo marketing. Quest’ultimo consiste nel persuadere i consumatori incerti a effettuare l’acquisto di un prodotto – sfruttando sempre il bisogno di non rimanere esclusi – attraverso calamite strategiche. Che pubblicizzano attese, collezioni limitate in collaborazione con brand, eventi, proiezioni cinematografiche oppure un lancio imperdibile, una produzione limitata in un breve lasso di tempo… Tutto fa brodo di Fomo, che non risparmia gli adulti. Secondo le statistiche, a soffrirne è il 20% delle generazioni Boomer e X, mentre il 63% vede coinvolti i Millennials e la Generazione Z.
In antitesi all’acronimo in questione è nato Jomo (Joy Of Missing Out) che premia l’assenza: la gioia di non esserci, il piacere inverso della non partecipazione. Apparso nel 2012 sul blog dell’imprenditore Anil Dash e pochi anni dopo sulle pagine del “The New York Times”, Jomo è un esercizio mentale che invita all’equilibrio del vivere il ‘qui e ora’ e a disconnettersi dai social per conquistare la serenità attraverso la connessione esclusiva con sé stessi.
Di Elvira Morena
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