L’ultima è stata Francesca Michielin, stufa degli imbecilli – non è più sufficiente chiamarli ‘haters”, sono proprio degli imbecilli – che la perseguitano in rete per il suo aspetto fisico. Un brufolo, un chilo di più o in meno, idiozie così.
Come lei e prima di lei, Vanessa Incontrada, Aurora Ramazzotti e tanti altri, soprattutto giovani e giovanissimi, stufi del meccanismo perverso dei social: sei famoso, sei ricco (non sempre), hai magari un cognome che pesa, allora te lo faccio vedere io…
Chi sono questi ‘io’ in servizio permanente effettivo alla caccia del bersaglio grosso da impallinare a parole? Dei falliti. Punto.
Siamo abbastanza stufi di raffinate analisi sociologiche su come e perché. Di valutazioni da salotto che non di rado finiscono involontariamente per fornire degli alibi. 99 volte su 100 a odiare, insultare e denigrare in rete sono dei puri e semplici falliti: nelle relazioni sociali, nelle scelte personali e professionali, rosi da un’invidia acida e corrosiva.
Che aggredisce innanzitutto se stessi, riducendoli a marionette dell’odio. Anche nelle offese sempre uguali, nel linguaggio ripetitivo e da prima elementare, nei target che scelgono con la tattica del branco. Confusi nella massa dei beoti, per non far risaltare la loro specifica imbecillità.
Del resto, basta leggere Francesca Michielin e il campionario di perle riportate: “Sei troppo magra, ma mangi vero?”. “Ma sbaglio o in questo periodo sei a dieta, eppure mangi un botto e non ti fai mancare niente”, ancora: “Per fare il tuo lavoro l’immagine è fondamentale”. “Ma come è ingrassata quella lì oh...”».
Francesca Michielin è così costretta a sottolineare l’ovvio: “Questi sono tutti commenti non richiesti – è sbottata ieri – ma, soprattutto, non sono veri, perché non abbiamo conoscenza del percorso della persona che abbiamo di fronte. Siamo tutti convinti di avere la verità in tasca, ma soprattutto non sappiamo più farci i ca**i nostri”. Sipario.
Non abbiamo soluzioni, ma un modesto suggerimento: ignorateli, bannateli, cancellateli in branco. Partiamo da lì.
di Fulvio Giuliani
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