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Gin tonic

Gin tonic antifebbrile

Non tutti conoscono la storia del gin tonic, il celebre cocktail che molte persone apprezzano. In tanti si diedero per malati pur di bere l’antifebbrile più amato del mondo
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Estate. Un tempo stagione con addosso il gusto del primo cono gelato, del primo tuffo in mare, di infradito spalmate su marciapiedi e di suoni vivaci provenienti da case e cortili. Stagione dei primi cocktail alcoolici e rinfrescanti. Poi l’impianto è saltato, le stagioni si sono mescolate e così granite, beveroni ghiacciati e gite assolate sono diventati fruibili anche a novembre (tranne il bagno in mare, forse). Poco male. Si sono ridotte le cene (ahimé) e intensificati gli aperitivi (vabbé).

I cocktail primeggiano e barman, super barman, super mega barman ogni anno fanno a gara per creare nuove combinazioni di fluidi alcolici e produrre la bevanda dell’anno. Ma i classici sono ancora insuperati e, nonostante la prevalenza sui tavolini dei bar del colore arancione dello spritz e di quello verde zuccherino del mojito, il cromatismo ghiacciato e incolore del gin tonic tiene ancora botta. Proprio lui, il gin tonic: bevanda superalcolica che Winston Churchill beatificò come «liquido che ha salvato più vite e menti inglesi che tutti i medici dell’impero» e che mescola chiara e (apparentemente) innocua dose di gin, acqua tonica, ghiaccio e fetta di limone, lavorati in un bicchiere tumbler.

Affascinante la sua storia, fusione tutta coloniale di Oriente e Occidente: l’India (lussureggiante patria di rimedi erboristico-ayurvedici) e l’impero britannico (titolare di un protettorato destinato a sfiorire). Di ciò che si ‘protegge’ si acquisisce tutto: il caldo e la malaria in primis, che diedero parecchio filo da torcere agli alfieri della Union Jack. Ma l’India, si sa, è Continente di spirito e offre subito il rimedio: c’è il chinino, amaro come il veleno ma antifebbrile di rara potenza. L’idea è quella di diluirlo con l’acqua per attutirne l’impatto: ne esce una bevanda acidula ma gradevole, ribattezzata “Indian Tonic Waterdal signor Schweppe (questo nome vi dice qualcosa?).

Ma non basta. La fresca bevanda a base di chinino ha bisogno di un rinforzo aromatico e medico. Qualcuno ricorda che un po’ di secoli prima alcuni monaci salernitani avevano creato un distillato curativo a base di patate fermentate, spezie e galbuli di ginepro. Stessa combinazione era stata adottata in Olanda, che ne aveva tratto un alcolico (il jenever) apprezzato soprattutto dai soldati, bevanda poi trasferita da Guglielmo d’Orange in Inghilterra con annessa licenza di produzione. Era nato il gin. Come scritto, la sua densa mistura venne aggregata all’acqua tonica di Schweppe. Qualcuno pensò all’ulteriore potere disinfettante del limone e preferì aggiungerlo alla mescola: era stato così creato l’antifebbrile più amato del mondo.

Fatto sta che i malati di malaria aumentarono o, meglio, aumentarono coloro che si dichiararono affetti dall’infezione soltanto per bere a più riprese quella fresca bevanda dal sapore gradevole e dall’inebriante effetto collaterale. Oggi che la malaria è stata in parte arginata, questa mistura con dentro l’India, l’Olanda, l’Inghilterra e la sapienza dei monaci salernitani troneggia su ogni tavolino di bar. Mi raccomando, bevete responsabilmente.

 

di McGraffio

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