Il disagio adolescenziale esiste da sempre. Ciò che è cambiato nel corso degli anni è l’espressione di tale disagio: prima la rabbia era rivolta verso l’esterno e il “nemico” era palese; oggi invece è diretta verso sé stessi.
Il disagio adolescenziale non è certo una novità odierna: esiste da quando esiste l’umanità. Dai tormenti emotivi di Romeo e Giulietta a quelli del giovane Holden, dalla ribellione dei ragazzi dello zoo di Berlino fino a quella delle ragazze interrotte, letteratura e cinema di ogni epoca sono pieni di racconti di adolescenti ribelli, innamorati, rissosi, incoscienti.
Quella che è cambiata, nel tempo, è l’espressione di questo disagio, che non è malattia ma causa fisiologica del conflitto che porterà alla formazione della personalità adulta. Da sempre, attraverso il conflitto adolescenziale, soprattutto quello con le figure genitoriali, i ragazzi definiscono la loro identità. Le liti, le ribellioni, la sensazione di non sentirsi compresi, la necessità di disubbidire alle regole sono un repertorio classico dell’essere figlio così come le raccomandazioni, le regole, i divieti lo sono dell’essere genitore.
O, almeno, lo erano in un’epoca in cui i genitori erano figure più autoritarie e la società stessa era rigida e normativa. Senza andare troppo indietro nel tempo, gli adolescenti degli anni Novanta si ribellavano in modo molto diverso rispetto a quelli di oggi. I genitori erano meno comprensivi, avevano letto meno libri di pedagogia, si sforzavano meno di essere bravi e improvvisavano di più. Negli anni Novanta, salvo rari casi, mamma e papà non erano i tuoi migliori amici, non ti accompagnavano a fare il tatuaggio, non ti infilavano i preservativi nello zaino. Il divario era ancora troppo ampio, i ruoli più definiti, in casa fumavano solo i grandi e il ceffone era ancora un metodo educativo accettabile. Il che non vuol dire che si crescesse meglio. La ribellione prendeva spesso forme violente e pericolose, in una spirale direttamente proporzionale alla rigidità delle regole.
Quello che però avveniva, è che la rabbia dei ragazzi era diretta verso l’esterno. Il disagio era incanalato verso nemici comuni e ben definiti: la politica, il capitalismo, i genitori che non capivano e vietavano. Il nemico era lì, palese, evidente, fatto apposta per mostrare il fianco a una generazione che doveva crescere e che per farlo aveva bisogno di conficcare la lama, che si univa per andare contro.
Negli anni, il nemico comune si è sempre più frammentato, fino quasi a scomparire. Le lotte sono diventate individuali, come il disagio che le precede e le accompagna. I genitori sono diventati più consapevoli, più evoluti, più propensi al dialogo. Di fatto, genitori migliori. Il problema è che, così facendo, hanno tolto ai figli l’ultimo ostacolo necessario, quello contro il quale dirigere la rabbia fisiologica dell’adolescenza. E così, quella rabbia, gli adolescenti di oggi la dirigono verso sé stessi. Si tagliano, si affamano, si abbuffano, si chiudono in camera, molto più soli di un tempo, orfani di una ribellione collettiva che ormai non ha più senso di essere.
La sfida, per i nostri ragazzi, si fa più ardua perché la troppa libertà di scelta e di movimento non genera vera indipendenza e produce, invece, gli stessi effetti negativi dell’eccesso di abbondanza: toglie mordente e, di fatto, impedisce quel distacco fondamentale per crescere.
di Maruska Albertazzi
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