“Hanno ucciso la mia vecchia Milano”, ma celebravano la nascita dei grattacieli
“Hanno ucciso la mia vecchia Milano”, frase che si sente ripetere da “mane a destra” da intellettuali, artisti, maestri del pensiero, più o meno debole, forse molto, molto debole. Eppure alcuni di questi schifati detrattori della moderna città che si innalza con il suo skyline, erano presenti in massa, champagne in mano, tartine e cotillons, alla presentazione nel 2005 da parte dell’architetto Manfredi Catella, allora Hines Group, del progetto della riqualificazione dell’area di Porta Nuova. Applausi e standing ovation all’accensione delle luci del plastico, con la benedizione del sindaco, Letizia Moratti, ospiti illustri come Giorgio Armani, scrittori di punta e di tacco, modelle e attori e attrici in cerca di fama, comunque affamati di gustose tartine.
Ecco, dove eravate quando nel 1997 fu presentata la progettazione del masterplan dell’area? E quando fu ultimato nel 2014 il celebrato a livello mondiale Bosco Verticale di Stefano Boeri, oggi così vituperato? Eh no, signore e signori, voi la vecchia Milano manco l’avete mai conosciuta perché avete sempre vissuto nei quartieri chic del tempo!
Vecchia e nuova Milano
Una fredda sera di novembre l’architetto Manfredi Catella, che d’ora in poi chiamerò l’amico Manfredi, perché tale lo considero, mi portò su una montagnola di fango e tra la nebbia e goccioline di pioggia già preannunciante l’inverno, mi disse: “Ecco, qui dove siamo ora ci sarà una grande piazza, là un grattacielo, qui una serie di palazzi progettati dai più celebrati architetti del momento, là, dove ricorderai c’erano le giostre delle Varesine…” e via dicendo. Sotto di noi, sulla strada con i binari del tram 29, circonvallazione a destra e a sinistra, grandi macchinoni che sbucavano dalla via De Castilla, luogo prediletto dei cercatori di forti emozioni con i transessuali. Alle nostre spalle Corso Como, là dove mia nonna mi diceva di non andare perché c’erano “quelle là” con chiaro riferimento ad una diffusa prostituzione.
Sono nato all’Isola, in via Garigliano. Piazza Minniti, via Borsieri, strada con case di ringhiera frequentate tra l’altro dal fior fiore delle bande cittadine, non quelle musicali ma quelle che facevano cantare i mitra durante le rapine, quindi svoltato l’angolo via De Castilla, con le sue case di ringhiera, quattro piani senza ascensore, irte scale di pietra, cortili che riproducevano le vecchie corti delle cascine lombarde, tre appartamenti per piano, cesso in comune con la turca.
Ritratto dell’Isola
I miei nonni paterni abitavano lì, al numero 14; ora c’è un bosco, un lungo passaggio pedonale verso Piazza Gae Aulenti, di fronte l’ingresso del Bosco Verticale. Sul lato sinistro troneggiava il Tecnomasio Brown Boveri, una delle più importanti fabbriche metalmeccaniche non solo di Milano, dove mio padre lavorò per quasi trent’anni. Parallela a via De Castilla, via Confalonieri, dove nacque Fedele Confalonieri, inutile specificare chi sia, anche perché in via Volturno, a due passi, era nato Silvio Berlusconi, la stessa strada della sede del Partito Comunista, e dal Circolo Sassetti, pista di bocce, tavoli per le carte, non ricordo ma penso di sì, qualche biliardo. Ci giocava l’Armando Cossutta in coppia con Gino Zambanelli, campione di tiro a volo, cacciatore e, en passant, mio zio. Cossutta rigorosamente comunista, zio Gino socialista. E altrettanto rigorosamente entrambi interisti come suo nipote, cioè il sottoscritto.
L’inganno della nostalgia
Intendiamoci, anch’io talvolta sono preso dalla nostalgia di quelle strade, del nonno che mi veniva a prendere all’asilo, delle fredde notti trascorse il sabato sera nel lettone con lo scaldino, il vasino per fare pipì perché mica potevi uscire di notte e recarti alla turca comune del ballatoio. Freddo a parte rischiavi di incontrare la sciura Giannina piegata sull’asse del cesso e non era proprio il caso. Questa, signore e signori era la vecchia Milano, che fino a ieri vi facevate belli della città proiettata nel futuro, con i soldi, tanti soldi, che arrivavano dall’estero, orgogliosi che Milano avesse superato Londra come città più attrattiva di investimenti internazionali.
Ora sparate a palle incatenate contro l’amico Manfredi, che certamente ci avrà guadagnato, e il sindaco Beppe Sala e tutto questo mondo che ora schifate. Volevate le case popolari? Fate un giro a Corviale, il mostro lungo un chilometro, a Roma, osannato dai soloni delle case al popolo, sì, va beh, non le mie però. Oppure andate alle Vele di Scampia e in tanti quartieri dormitorio delle periferie delle nostre città. Il sindaco della capitale, Gualtieri, ha di recente detto: “Le periferie fanno schifo, voglio portare in quelle aree la bellezza”. Auguri, primo cittadino. Ma per favore, lasciate per un giorno la vostra ipocrisia, che del popolo non ve n’è mai fregato nulla, e riflettete: cosa vogliamo fare di una grande città come Milano? Dei trans e dei cessi sui ballatoi? I primi li avete probabilmente frequentati, ammettetelo, i secondi credo manco sappiate che sono esistiti.
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