Il caso del generale verbalmente incontinente è solo l’ultimo ad aver “permesso” a tutti noi di sperimentare alcuni dei mali dei nostri tempi: l’aggressività cieca e vuota, la violenza verbale, la rabbia per i propri fallimenti da scaricare su chiunque appaia immeritatamente più fortunato. Tutto, pur di non far mai neppure uno straccio di esame di coscienza.
Il dibattito generato dalle intemerate dell’alto ufficiale dell’Esercito – inconsistenti, offensive, indigeribili al punto da non meritare in realtà un grande confronto – hanno finito per scatenare i peggiori appetiti di una varia umanità, sostanzialmente catalogabile come in preda alla più sorda frustrazione.
Perché richiamare il diritto di parola e di critica, per poter in realtà sentirsi liberi di offendere, insultare, denigrare e ferire psicologicamente è un classico (abominevole) dei nostri tempi.
Provate a far civilmente notare l’insostenibilità della posizione del nostro, dopo aver vomitato giudizi volgari e sprezzanti su ebrei, neri e gay: la reazione di tanti non sarà una pacata riflessione sul perché un uomo di carriera e con rilevanti responsabilità passate e presenti debba lasciarsi andare a simili spropositi dialettici, ma uno scriteriato assalto al prossimo.
Un classico è proprio l’ossessivo e già accennato richiamo alle libertà di parola e di espressione. Come se queste ultime comprendessero il nullaosta alle offese più grevi e ai concetti più insostenibili.
Quando lo sottolinei, scatta il consueto armamentario “antisistema“, secondo il quale schierarsi con decisione della parte della civiltà, dell’equilibrio e della ragionevolezza equivarrebbe a essere schiavi del politicamente corretto. Che evidentemente non c’entra nulla con tutto questo, figurarsi con un signore che decida freddamente di sputare veleno su coloro che ai suoi occhi devono apparire troppo ‘diversi’ per meritare la sua comprensione.
E un certo popolo applaude schiumando rabbia e inneggiando alla “libertà” di mostrarsi uomini “di conseguenza. Quale squallore.
di Fulvio Giuliani
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