Il caso Kirk e l’indifferenza delle nuove generazioni americane
Il caso Kirk e l’indifferenza delle nuove generazioni americane che “giustificano” la sua uccisione: “Se dici certe cose non puoi non aspettarti che qualcuno ti voglia sparare”

Il caso Kirk e l’indifferenza delle nuove generazioni americane
Il caso Kirk e l’indifferenza delle nuove generazioni americane che “giustificano” la sua uccisione: “Se dici certe cose non puoi non aspettarti che qualcuno ti voglia sparare”
Il caso Kirk e l’indifferenza delle nuove generazioni americane
Il caso Kirk e l’indifferenza delle nuove generazioni americane che “giustificano” la sua uccisione: “Se dici certe cose non puoi non aspettarti che qualcuno ti voglia sparare”
Sono passati solo pochi secondi dall’istante in cui un’unica pallottola mortale si è conficcata nel collo di Charlie Kirk. La gente tutt’attorno è stordita, accucciata nella speranza di non sentire esplodere un secondo colpo. Qualcuno si copre il capo con una mano come se potesse bastare a proteggersi da un proiettile. Siamo a pochi metri dal palco dove l’influencer conservatore da milioni di follower stava parlando agli studenti della Utah Valley University. L’occhio digitale di uno dei mille smartphone accesi in quel momento coglie in primo piano la figura di un uomo sulla trentina, t-shirt blu, barbone fluente e capelli lunghi che fuoriescono da un cappellino da baseball chiaro indossato a rovescio con il ‘becco’ che copre la nuca.
È l’unico che, invece di cercare un qualunque riparo anche solo accovacciandosi, resta in piedi con le spalle al palco e si rivolge al pubblico. Ha entrambe le braccia levate al cielo, gomiti a novanta gradi e pugni stretti, sul volto un’espressione di gioia sfrenata. Sì, sta esultando. Mentre alle sue spalle si intravvede la sicurezza che sta portando via il corpo esanime di Kirk.
I social sono facili al falso, lo sappiamo. Quei pochi secondi di video rimbalzati ieri di account in account potrebbero essere stati costruiti ad arte (anche se il protagonista, rapidamente scovato su X, ha parzialmente ammesso pur aggrappandosi a motivazioni sgangherate). Ma non è questo che conta. Vero o falso che sia, quel video non è altro che un segnale – l’ennesimo, per la verità – di quanto l’America sembri avvicinarsi rapidamente a un punto di non ritorno.
La spaccatura nel Paese provocata da Trump va ben oltre i dati dei sondaggi più recenti e perfino dell’immaginabile: sulla morte di Kirk – personaggio controverso, per certi versi detestabile, ma pur sempre capace di prestarsi a un confronto aperto e basato sulla parola con chi non la pensava come lui – lo sdegno e la riprovazione della politica sono stati bipartisan. Anche i media non hanno potuto che rimarcare l’assurdità di eliminare fisicamente chi ha idee opposte alle proprie. Il problema è però un altro: sono le persone reali, il vicino di casa, il collega di lavoro, lo studente universitario. Chi vive la quotidianità subisce sulla sua pelle la situazione surreale che si è creata, fra incitazione all’odio e rappresaglie continue e appelli ossessivi all’identità nazionale, rifiuto del confronto, avversari politici che diventano nemici da abbattere. E per quanto si possa resistere, alla lunga un clima del genere finisce per penetrare sottopelle, permeando ogni molecola dell’aria che si respira.
Alla morte di Kirk non è stato solo il tipo dal berretto a rovescio a esultare. In Rete sono cominciate a circolare fin da subito decine, centinaia di reel con ragazzi che improvvisavano balletti festosi, esplodevano in risate a crepapelle dopo che sullo schermo era comparsa la scritta «Sapevi che hanno ammazzato Kirk?», le due dita a “V” come vittoria, sospiri di sollievo come a dire «Finalmente!». E noi lì a scrollare sconsolati davanti all’orrore preso come dai nostri lidi si potrebbe prendere un gol segnato dalla propria squadra al 93esimo di un derby.
Dice: roba da social, per quanto colpisca non è e non può essere statisticamente rilevante. Sarà, allora però qualcuno dovrebbe spiegarci certe risposte di studenti universitari raccolte ieri da giornalisti americani qua e là in giro per gli atenei Usa: ragazze con gli occhialini e lo sguardo vispo che rispondono all’intervistatore con un secco «Ben gli sta», ragazzoni in salute e in canotta che sibilano «In fin dei conti se l’è cercata», americani di seconda (o terza o quarta) generazione che ammettono candidamente: «Se dici certe cose non puoi non aspettarti che qualcuno ti voglia sparare». E avanti così, con risposte sempre diverse nella forma ma identiche nel contenuto.
Ma è il denominatore comune a spaventare forse ancora di più: l’espressione annoiata o spenta, il tono gelido, l’indifferenza di questi ventenni. «Peggio per lui».
Di Valentino Maimone
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche

Fine di una dinastia, il passaggio dagli Agnelli agli Elkann

In Italia si laureano solo i figli dei laureati

Morto Stefano Benni, lo scrittore aveva 78 anni
