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Il diritto alla disconnessione arriva in Senato

Il diritto alla disconnessione, ad una linea netta tra lavoro e vita privata, sta per approdare in Senato: ma non per tutti la connessione, al contrario, è sinonimo di inferno

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Il diritto alla disconnessione arriva in Senato

Il diritto alla disconnessione, ad una linea netta tra lavoro e vita privata, sta per approdare in Senato: ma non per tutti la connessione, al contrario, è sinonimo di inferno

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Il diritto alla disconnessione, ad una linea netta tra lavoro e vita privata, sta per approdare in Senato: ma non per tutti la connessione, al contrario, è sinonimo di inferno

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Il diritto alla disconnessione, ad una linea netta tra lavoro e vita privata, sta per approdare in Senato: ma non per tutti la connessione, al contrario, è sinonimo di inferno

Depositata in Parlamento a luglio – dopo una partecipatissima raccolta di adesioni chiamata “Lavoro, poi stacco” – la proposta di legge sul diritto alla disconnessione arriverà presto in Senato. La richiesta: la facoltà per un lavoratore di non essere «costantemente reperibile fuori dall’orario di lavoro e avere la libertà di non rispondere alle comunicazioni nei turni di riposo» senza temere conseguenze. A promuovere l’iniziativa è l’associazione giovanile L’asSociata, nata per avvicinare i giovani alle istituzioni.

E sono proprio i giovani i principali sostenitori di un cambio di rotta nelle dinamiche d’ufficio. Se la fine della pandemia ha decretato infatti anche un ridimensionamento dello smart working (l’ultimo ripensamento è del colosso Amazon) con sparuti casi di lavoro ibrido che faticano a resistere, il concetto di work life balance – con una divisione più netta tra lavoro e vita privata – è stato ben più tenace, ancorandosi alle nuove generazioni. La proposta si basa su alcuni cardini: nessuna demonizzazione dell’imprevisto extra lavorativo (purché sia adeguatamente retribuito come straordinario) e un generale disincentivo all’uso di dispositivi personali per scoraggiare intrusioni. La proposta di legge non è inoltre pensata per regolamentare solo il rapporto fra capo e dipendente, ma è valida anche tra colleghi che utilizzano ogni tipo di mezzo (dall’e-mail a WhatsApp) per comunicare fuori dall’orario di lavoro.

Sebbene il diritto alla disconnessione sia stato riconosciuto quale diritto fondamentale dal Parlamento europeo con una risoluzione del 2021, restano alcuni nodi irrisolti. In primo luogo la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal testo, che va dai 500 a 3mila euro: non solo eccessiva ma anche difficilmente misurabile, considerato che l’imprevisto nel lavoro è soggetto a troppe variabili, spesso arbitrarie. Qualora si volesse considerare la punizione economica come un puro disincentivo, resta però valido anche il diritto inverso della connessione.

Nella scala di valori di ciascuno il lavoro può occupare posizioni diverse e anche mutevoli nel corso della propria carriera: si può essere particolarmente flessibili per esigenze economiche, per pura (e legittima) ambizione o perché alcuni lavori sono difficilmente ‘inscatolabili’ in orari standard.

Il fenomeno è comunque caratterizzato da un vuoto legislativo e dall’assenza di regolamentazione comune tra i diversi Paesi Ue. Solo la Francia si è infatti dotata di una legge ad hoc sul tema già dal 2016, ben prima del fenomeno dello smart working: è la Loi du Travail, che però riguarda solo le aziende con più di 50 dipendenti e non prevede sanzioni specifiche. In Belgio esiste invece un ‘codice di condotta’, ma solo per dipendenti pubblici. Mentre il Portogallo ha iniziato a discutere sul tema con iniziative per lo più private.

A conti fatti, il percorso della proposta di legge non sembra così lineare: legiferare sulla scala di valori di ognuno può risultare molto rischioso.

di Raffaela Mercurio

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